Adolescenti, perché lo saremo sempre

Adolescenti, perché lo saremo sempre

17/03/2017 0 Di AndreMovie

Basta la prima scena di The Edge of Seventeen per recuperare con la mente sensazioni che tutti abbiamo vissuto a 17 anni. Nadine Franklin, la protagonista (una bravissima Hailee Steinfeld, che mi ricordo ancora bambina in Il grinta dei Coen), percorre con passo rapido e sguardo terrorizzato l’ingresso del suo liceo. Si dirige verso l’aula di un suo insegnante, Mr. Brumer (il solito, magnetico Woody Harrelson); entra, guarda il professore dritto negli occhi e gli dice: «Senta, non voglio farle perdere troppo tempo, ma voglio suicidarmi».

Cosa abbia scatenato una reazione simile lo scopriremo dopo, ma è un incipit perfetto per presentare il mondo di una ragazza con cui è facile identificarsi. L’adolescenza è un’età a dir poco tormentata, viscerale in ogni emozione che scatena. È il periodo dei sogni, della sensazione che tutto sia ancora possibile, delle amicizie profonde, che non ti tradirebbero mai e delle prime, brucianti passioni amorose. Kelly Fremon Craig, al suo debutto da regista, lo racconta come meglio non poteva, dal punto di vista registico e di scrittura. Non c’è scena in cui la macchina da presa non colga le espressioni dei personaggi, rendendo percepibile (e condivisibile) ogni loro emozione. E la storia possiede una sincerità contagiosa, di quelle che ti catturano e non ti lasciano più.

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Hailee Steinfeld e Woody Harrelson (The Edge of Seventeen)

Nulla che Hollywood non abbia già esplorato, è vero, ma è una gran bella (ri)scoperta per chi, come il sottoscritto, quando pensa al binomio cinema-adolescenza torna facilmente agli anni ’80 dai vari Stand by Me, Breakfast Club, Goonies e le commedie di John Hughes, rifugiandosi nei film di Gus Van Sant per variare un po’ (o in quest’ultimo caso per deprimersi, dipende dai punti di vista).

The Edge of Seventeen, all’interno di quella cornice indie che spesso ha regalato veri gioiellini a tema teen (Juno, Adventurland, Noi siamo infinito solo per citarne alcuni), funziona perché ci ricorda che da quel vortice di insicurezze, desideri, pianti e risate in fondo non ne usciamo mai crescendo. Certo, a 30 anni (ok, 31) la percezione delle cose cambia, come i valori, le amicizie, la consapevolezza di sé e degli altri. Ma possiamo davvero dire, oggi, di non sentirci più insicuri di nulla o inadeguati in certi contesti? Spaesati, arrabbiati, a chiederci se siamo noi a non piacere al mondo o se sia il mondo a non piacere a noi.

Il viaggio è un casino al liceo, ma lo è anche da adulti e laureati (Ben Stiller lo spiegava perfettamente in Giovani, carini e disoccupati). Però resta altrettanto entusiasmante, sorprendente, folle. Guardando Nadine lottare contro il mondo, e se stessa prima di tutto, non facciamo altro che guardare noi stessi, come eravamo prima e come (in parte) siamo adesso. Trovare punti di contatto con lei non significa non essere maturati, ma vivere con lo spirito di chi è ancora disposto alla scoperta, di chi è felice di avere ancora “un migliore amico”, di chi almeno una volta ogni tot fa gaffe colossali o di chi, semplicemente, non smette di sognare mentre cerca di costruirsi il futuro.

Quindi, se posso darvi un consiglio, date una chance a questo titolo e tornate adolescenti anche solo per due orette. Non sarà così terribile.