
Iron Fist, il vero supereroe è chi finisce la serie
22/03/2017Nella stagione in cui Marvel esplora le arti mistiche, dopo Doctor Strange arriva Iron Fist. Non al cinema, ma su Netflix, come quarto e ultimo capitolo del set up sui Defenders, crossover che vedrà agire insieme Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage e, appunto, il guerriero della leggendaria città di K’un L’un.
Chiariamo subito: Iron Fist non è certo tra i supereroi Marvel più noti. Eppure trovavo intrigante l’inserimento della sua storia all’interno del quadro urbano e spesso dark degli show della Casa delle idee su Netflix. Fist è Danny Rand, un bimbo creduto morto insieme ai suoi genitori in un incidente aereo sull’Himalaya, e invece cresciuto da monaci guerrieri a pane e arti marziali, prima di tornare a New York e sistemare alcuni conti in sospeso.
Alla schermata di avvio dello streaming mi colpisce la scritta “vietato ai minori di 18 anni” sotto il logo del titolo. Mi sorprende ma non poi tanto, considerando il livello di violenza e cupezza esibito soprattutto in Daredevil e Jessica Jones (in Luke Cage l’azione era molto più fumettistica). Lo dico senza indugio: è un divieto irritante, al confronto ci sono stati episodi di Masha e Orso più provanti psicologicamente (su come e perché mi sia capitato di vedere episodi di Masha e Orso sorvoliamo…).
Armato di buoni propositi, comincio la visione e mi ritrovo davanti il protagonista Finn Jones, vestito come un barbone, zaino in spalla e piedi nudi. Non so perché, ma, riccioli biondi esclusi, penso subito assomigli un sacco a Emile Hirsch in versione Into the Wild, tanto che per un attimo mi viene in mente di stare guardando il sequel segreto del film di Sean Penn. Insomma, entra nella RAND, la potente azienda di famiglia (che sarebbe anche sua stando all’eredità del padre), pretendendo di essere ricevuto senza problemi ai piani alti. “Inaspettatamente”, non solo nessuno crede che sia Danny Rand resuscitato, ma viene addirittura scortato fuori dalla sicurezza solo per aver messo ko una serie di guardie ed essere salito sino all’ufficio dei fratelli Ward e Joy Meachum, storici amici e soci in affari di famiglia, ora a capo della società.
Il bentornato non è dei migliori, ma c’è tutto il tempo per rifarsi senza nuovi malintesi. Stalkerare i Meachum bros., però, non lo aiuta e in tutta risposta Danny viene internato in un ospedale psichiatrico. E mentre per le prime tre puntate vediamo riproporsi in loop il flashback dell’incidente aereo (sia mai che ci sfugga qualche dettaglio), scopriamo i segreti dei Meachum, che riguardano soprattutto Ward, un tossico, dipendente da rilassanti muscolari, antidolorifici e, dulcis in fundo, una nuova eroina sintetica teoricamente spacciata per le strade di New York, ma in pratica consumata solo da lui. D’altra parte, lo stress del lavoro è alto e ad aumentare la pressione c’è il rapporto con il padre Harold, classica dinamica tra il genitore dispotico e il figlio che lo odia ma in fondo cerca sempre la sua approvazione. Ah, giusto per la cronaca, Harold Meachum è morto di cancro, e poi risorto miracolosamente. Ma come insegna Stephen King in Pet Sematary, nulla torna dal mondo dei morti con l’anima pura…
Il leit motiv dei primi episodi gioca tutto sull’identità di Danny. Quando riesce a dimostrarla, entra nella Rand e cerca di ripulire l’immagine della società, non nuova ad affari loschi. Purtroppo combina un disastro dietro l’altro, ma hey, lui è il guerriero imbattibile, col pugno dorato nelle mani e sul petto il tatuaggio del drago Shou-Lau l’Immortale, sconfitto nella prova definitiva del suo addestramento, che nessuno ha la bella idea di mostrarmi.

Smaug, alias Shou-lau l’immortale
Iron Fist sarebbe anche figo se non si rivelasse più abile a sciorinare dottrine buddhiste (e a ribadire il cavallo di battaglia “Io sono l’Iron Fist!”) piuttosto che a combattere. Perché non c’è scena di lotta che abbia autenticità, la coreografia dei duelli è ripetitiva ed elementare, come se fosse basata su due mosse fondamentali e via. Per non parlare dei momenti di meditazione: al confronto, le lezioni di yoga di Josh Hartnett in Hollywood Homicide erano più convincenti.

Hollywood Homicide: Josh Hartnett e la sua classe di yoga.
Ma almeno il potere dell’Iron Fist sarà messo in scena decentemente no?! Un’energia potentissima, che proviene dal potere interiore di ognuno di noi! No, Danny l’eletto si limita a evocarla per rompere porte blindate, porte di camion, dare qualche pugnetto nello stomaco agli avversari di turno o deviare pallottole e lame affilate. Niente fuochi d’artificio.
D’accordo, è la classica origin story in cui il supereroe non è fatto e finito e deve ancora comprendere il suo destino, ma sono tante e varie le perplessità, a cominciare dal casting di Jones. Le polemiche del whitewashing (alcuni fan avrebbero voluto un attore asiatico al posto suo) non c’entrano nulla: ho trovato la performance debole in tutto, priva della giusta fisicità (che invece definiva Devil, Jones e Cage) e delle corde drammatiche necessarie per rappresentare l’animo tormentato di un’arma vivente che dovrebbe reprimere ogni emozione e invece è colma di vendetta e rabbia per la morte dei genitori. Con questo tipo di caratterizzazione, Iron Fist dovrebbe essere un supereroe ricco di contraddizioni, ma più spesso mi sembra o il cugino sfigato di Doctor Strange o un bimbo capriccioso e impulsivo.
La dimensione mistica della storia crea un cortocircuito con il contesto urbano di New York, e a differenza dei suoi colleghi, perfettamente inseriti nel marcio di Hell’s Kitchen e Harlem, qui Danny sembra fuori posto per la maggior parte del tempo, e non basta la sola giustificazione della dura crescita in un monastero dall’altra parte del mondo a dare credibilità.
Se aggiungiamo che la serie è composta da 13 episodi di circa un’ora ciascuno, il binge watching in questione diventa una scalata faticosa, che, prendendola con la filosofia dell’eroe, ti tempra nello spirito. E il più grande pregio è forse questo perché terminata l’ultima puntata mi sono sentito come alla fine di un duro addestramento. Per un attimo, la mano destra mi si è persino illuminata ed ero pronto ad abbracciare il potere dell’Iron Fist. Peccato fosse solo il display del mio cellulare.