Essere ottimisti: una “relazione programmatica”

Essere ottimisti: una “relazione programmatica”

26/04/2017 0 Di AndreMovie

“Era solo una relazione programmatica”. Lo diceva Tom Cruise in Jerry Maguire in merito al testo che ha cambiato la vita del protagonista del film di Cameron Crowe. Una sorta di epifania notturna sfociata in 25 pagine in cui Jerry riflette, dopo una crisi esistenziale lampo, sul cinismo del suo lavoro da procuratore sportivo, ma soprattutto su di sé e sulla sua posizione nel mondo. Parole in fila, non in flusso di coscienza ma quasi, per fissare su carta pensieri spontanei, semi-deliranti, genuini e sinceri.

Ora, non sto scrivendo con l’obiettivo di vivere le stesse avventure di uno dei personaggi del buon Tom a cui sono più affezionato. Scrivo solo perché in questo periodo mi sembra di provare sensazioni vicine a quelle di Jerry.

Sia chiaro, le nostre vite non potrebbero essere più diverse. Lui era un trentenne di successo, ricco, con Kelly Preston come fidanzata. Io attualmente calcolo il mio successo attraverso i metri di giudizio più banali, tipo riuscire a finire Uncharted 4, concludere tot vasche in piscina o semplicemente ricordarmi tutto quanto segnato sulla mia lista mentale della spesa. In comune, però, abbiamo una cosa: la vita ha pensato bene di far vacillare alcune nostre certezze. Come si reagisce in questi casi?

Fossi Jerry, opterei per un’uscita teatrale dal mio ufficio aggrappato al mio unico cliente, a un pesce rosso e a una giovane e deliziosa Renée Zellweger che mi sbava dietro. Invece, dato che in un ufficio per ora non lavoro più, un pesce rosso l’ho avuto da piccolo (credo) e la mia giovane e deliziosa Renée è l’unica dei due che lavora seriamente, ecco cosa si è innescato: da una parte, l’invio di curriculum con la stessa facilità (solo quella) con cui DiCaprio spendeva i suoi soldi in The Wolf of Wall Street, dall’altra un intenso processo di auto-consapevolezza.

scurbsMi sono sempre ritenuto un tipo ottimista e con i piedi per terra, nonostante la fantasia mi accompagni spesso in viaggi mentali stile JD di Scrubs. Eppure mai come in questo periodo vivo un dualismo interiore tra energie positive e negative. Mi chiedo se il mio tipico ottimismo non sia solo fumo negli occhi, soprattutto in un mondo che il più delle volte si presenta cinico, parla con insopportabili frasi fatte e pare voltarti continuamente le spalle per dispetto, roba da farti incazzare quasi quanto Riccardo Scamarcio al Bif&st (il Festival del film) di Bari di quest’anno.

Forse l’interrogativo trabocca di retorica, eppure, per chi ha sempre avuto una visione piuttosto easy della vita, è un gran bel dilemma. Trovare una risposta mi ha regalato, nell’ordine, un’alternanza più o meno inquietante di immagini rosee e deprimenti del mio futuro, incertezze su ciò che voglio essere/fare/diventare, e un umore così scostante da far nascere intorno a chi mi sta vicino un’aura santa. Per neutralizzare un simile e a me inedito pessimismo cosmico, a tratti ho l’impressione di centrarmi così tanto da cadere in uno stato di atarassia simile a quello che caratterizza il personaggio di Josh Hartnett in Slevin, con la differenza che io non sto rimbalzando come ostaggio tra due gang di potenti boss mafiosi di New York.

Queste sporadiche “sospensioni emotive”, però, mi permettono di vedere il mondo da una prospettiva più distaccata, lontana da me stesso. E forse è proprio questo il punto: quando ci si trova in difficoltà si tende a catalizzare tutto su di sé. I tuoi problemi diventano i più insormontabili e, soprattutto, gli unici di cui preoccuparsi. O meglio, gli unici di cui TUTTI si dovrebbero preoccupare. Per certi versi credo sia una reazione inevitabile, ma combattere la sfiga, fin quando striscia in situazioni ancora controllabili, significa anche capire di non essere al centro dell’universo. Significa ascoltare sia chi vuole solo incoraggiarti, sia chi ti mette davanti alla realtà dei fatti, senza addolcirli. Significa avere il coraggio di mettere in discussione una strada per intraprenderne altre (o almeno provarci) e significa abbracciare e vivere qualunque cosa bella capiti, che sia un piccolo gesto o (si spera) un’occasione da non sprecare. Infine, ti permette di comprendere quanto sognatori e scettici siano in realtà due facce della stessa medaglia: i primi sono indispensabili per entusiasmarsi e sperare; i secondi per non volare troppo vicino al sole. Non saranno 25 pagine ma scriverlo, lo ammetto, mi dona più equilibrio che dirlo o pensarlo.

È così che si diventa grandi amico, con le palle appese a un filo”, dice a Jerry il ragazzo della copisteria in cui viene stampata la sua relazione programmatica. Confermo che quel filo fa parecchio male e per scioglierlo ci vuole una pazienza infinita. Ma sai che sollievo quando accadrà.