
Alien: Covenant, nello spazio non basta più urlare
14/05/2017Ridley Scott lo sapeva: per riscattarsi in qualche modo dalle controversie di Prometheus serviva un passo indietro. Al 1979, precisamente, quando tutto è iniziato e lo spazio è diventato una realtà da incubo. Così, ecco Alien: Covenant, ibrido affascinante per certi versi, confuso per altri. È un film che respira nelle atmosfere horror che hanno fatto la fortuna della saga originale di Alien e allo stesso tempo dona continuità alle tematiche toccate da Prometheus.
La storia si svolge circa dieci anni dopo la spedizione che ci ha portato di fronte ai misteriosi ingegneri, ruotando sui grandi interrogativi universali. La Covenant è una nave coloniale che trasporta un equipaggio di 15 persone, circa 2000 futuri coloni e altre migliaia di embrioni. Il viaggio è diretto verso Origae 6, il pianeta su cui ricostruire la civiltà umana. Qualcosa però va storto fin da subito, l’equipaggio è costretto ad abbandonare il sonno criogenico e un segnale radio li porta su un pianeta sconosciuto e inesplorato. La speranza è che possa essere la nuova casa, la realtà dice che è un vero inferno.
Gli autori John Logan e Dante Harper scrivono una sceneggiatura improntata su spunti narrativi da sempre cari alla fantascienza, quali l’esplorazione dell’ignoto (e i relativi rischi) e la ricerca di un nuovo inizio per l’umanità, già affrontati in titoli sci-fi recenti come Interstellar e Passengers. Qui, però, abbiamo a che fare con una fantascienza molto più nera che profetizza un futuro non certo ottimista, turbato dal desidero arrogante dell’uomo di “sostituirsi a Dio” per creare vita, qualunque essa sia. È in questo senso che viene data continuità agli argomenti creazionisti di Prometheus, affidando a Michael Fassbender il vero ruolo chiave: l’attore si sdoppia negli androidi David e Walter, due esseri allo specchio il cui dualismo contrappone intelligenza, cultura e creatività, a megalomania, vendetta, narcisismo e follia. Il meglio e il peggio della natura umana incarnati in due macchine: un’ironia che Fassbender gestisce con il consueto talento, manovrando come pedine i protagonisti.
È lui il villain di questo nuovo ciclo, perno di un progetto che attraverso una certa profondità tematica vorrebbe rinnovare lo schema narrativo originale da survival horror, il cui recupero della tensione qui produce un piacevole déjà vu che regala allo spettatore tutte le coordinate necessarie per orientarsi e sentirsi a casa. Il problema è che l’effetto nostalgia a tratti dà la sensazione di essere più figlio di una strategia di riscatto. Non è un mistero, infatti, che Scott volesse accontentare i fan delusi da Prometheus, e per farlo ha donato al pubblico ciò che voleva: gli amati xenomorphi, sangue in abbondanza, un gruppo di vittime sacrificali guidato dall’eroina di turno (Katherine Waterston) simil Sigourney Weaver e omaggi sparsi ma ben individuabili ai capitoli originali. Tattica furba, ma non sufficiente a evitare incongruenze di scrittura e una certa prevedibilità negli snodi fondamentali della trama, senza dimenticare gli interrogativi lasciati aperti da Prometheus e ancora non del tutto risolti.
Potrebbe far tutto parte di un disegno più ampio, destinato a completarsi in futuro (i lavori del sequel dovrebbero cominciare nel 2018). Per ora, Alien: Covenant resta un passo avanti dovuto ai fan, visivamente suggestivo e potenzialmente affascinante, ma ancora avvolto nella nebbia. Oggi lo sappiamo che nello spazio nessuno può sentirci urlare. E per questo, serve qualcosa in più.