
Ciao, George. Un tuo zombie ti saluta
17/07/2017La morte di George Romero è una di quelle notizie che, da fan dell’horror e del cinema in senso più ampio, non vorresti sentire appena sveglio. Eppure è così e la sola cosa che mi viene in mente di fare è scrivere due righe per dirgli grazie. Un gesto misero, ma obbligato per chi da sempre ammira il suo enorme lavoro.
Romero non è stato solo il “papà degli zombi”, come i suoi zombi sono sempre stati più di semplici morti viventi. Quelle creature inebetite, ciondolanti e affamate di carne umana rappresentavano un’analisi profonda della società. Erano metafora di disagi tangibili e uscendo dalle loro tombe hanno contribuito non solo a ridefinire per sempre le dinamiche del genere, ma anche a creare (influenzandolo via via) l’immaginario culturale occidentale. Della serie: senza di lui, non avremmo avuto NULLA di ciò che di buono e non l’horror ci ha regalato negli anni. Un impatto con pochi eguali. Ora, non starò qui a fare un panegerico lunghissimo sulla sua carriera, mi basta ricordare due film: La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead) e Zombi.
Il primo è il più importante, perché apre la tetralogia dei non morti. Un film girato relativamente con pochi mezzi, ma con un taglio documentaristico che evidenziava ancora di più quanto Romero scavasse nelle tematiche che preoccupavano l’America degli anni Sessanta, come il razzismo, l’insofferenza civile, l’incubo di un attacco sovietico in piena Guerra fredda. O in generale, la fine del mondo: un concetto tanto elementare quanto terrificante. E dal punto di vista narrativo, provate a pensare come le dinamiche della storia di quel film ora siano regole base del filone: un gruppo eterogeneo di personaggi che trova un rifugio per sfuggire a una minaccia più grande di loro; l’obbligo a collaborare per uscirne vivi; le tensioni individuali; gli aiuti che non arrivano mai e le speranze che si affievoliscono strada facendo. Un approccio inedito per l’epoca, realistico, che ha dato inizio a una nuova era dell’horror, diramatasi in svariate declinazioni (found footage incluso) nel corso delle generazioni.

Piccole cose di cui potermi vantare…
Con Zombi (Dawn of the Dead) facciamo un salto di dieci anni, ma il risultato non cambia: lo sguardo di Romero è rivolto verso il peso schiacciante del consumismo americano. Non è un caso che il rifugio dei protagonisti stavolta sia un centro commerciale di periferia: quel luogo è il crocevia della relazione tra gli zombi (ossia la maggior parte della massa) e il capitalismo portato all’eccesso. Non ingannino le frequenti inquadrature del grande magazzino deserto: il pericolo è dietro a ogni porta, proprio perché insito nella natura umana. Zack Snyder ne ha girato il remake (tra i suoi lavori migliori, per altro) e con un tweet ha condiviso il suo omaggio: «Il mondo ha perso un maestro. Grazie per aver cambiato la mia vita». Da parte mia, è con un certo vanto che ora guardo l’edizione home video di questo film sistemata nella mia libreria, che include il cut originale di Romero e l’European Cut montato da Dario Argento.
I film di Romero hanno sempre conservato una qualità duratura e sinistra, figlia della volontà del loro autore di veicolare sempre e comunque un messaggio. Cosa che fenomeni moderni come The Walking Dead, che chiaramente devono tutto all’opera omnia di George, non fanno (o hanno smesso di fare). Lui li ha sempre criticati, attaccando gli alti budget del cinema di oggi, impiegati più per favorire la spettacolarità piuttosto che tracciare un preciso sottotesto. «The Walking Dead e World War Z hanno ucciso il genere», diceva. Per certi versi, impossibile dargli torto.