Baby Driver: perché vale la pena aspettarlo. E soprattutto vederlo

Baby Driver: perché vale la pena aspettarlo. E soprattutto vederlo

11/08/2017 0 Di AndreMovie

Ogni anno, in mezzo alla consueta ondata di blockbuster che investe le sale, capita di trovare un film fuori dal coro. Non in senso dispregiativo, al contrario: un titolo lontanissimo dai ricchissimi budget dei grossi franchise, ma che a livello di intrattenimento e architettura generale ha molto da insegnare ai colleghi giganti. Quest’anno il gioiellino è Baby Driver, che, ve lo dico già da ora, potete tranquillamente inserire fra le cose migliori dell’intera stagione.

Il motivo? È tra i prodotti più freschi e originali usciti da Hollywood negli ultimi tempi. Non per niente, è nato dalla mente di Edgar Wright: un regista non di richiamo come Christopher Nolan, eppure in quanto a precisione, attenzione ai dettagli, abilità nell’assemblare un cast vincente e semplice passione, non è secondo a nessuno. Per dedizione, entusiasmo e tasso di “nerdismo” che traspaiono dai suoi film, mi ricorda Tarantino e lo dico in piene facoltà mentali. Prendete la sua “trilogia del cornetto” (L’alba dei morti dementi, Hot Fuzz e La fine del mondo) o Scott Pilgrim vs The World: ciascun film rappresenta un mix di generi e linguaggi vorticoso ma incredibilmente ordinato. E l’uso di citazioni e riferimenti è quanto di più intelligente e funzionale potreste trovare. Ancora mi chiedo cosa sarebbe potuto essere Ant-Man se i rapporti tra lui e Marvel non si fossero interrotti…

Il suo è un cinema che gioca su più livelli, votato quasi per natura alla contaminazione, alla parodia e al metalinguaggio. Baby Driver è l’espressione massima di questa poetica, ma non solo. Rivisita e rinnova tanti cliché di genere trasformandoli in qualcosa di sorprendente. Ossia un film che esplora le regole del crime dopandole con un concentrato di azione, risate, colpi di scena, romance, e soprattutto musica. Eh sì, perché in Baby Driver tutto si muove seguendo le note della playlist personale di Baby, il protagonista (Ensel Elgort), un giovane che, oltre a fare da autista per dei rapinatori di banche, soffre di acufene e vive con gli auricolari nelle orecchie per soffocare il doloroso fischio del disturbo. La musica plasma il suo mondo – interiore ed esteriore – e nell’economia del film è funzionale quanto lo era per La La Land, per capirci. Anzi, forse anche di più, perché Baby Driver non nasce musical eppure è un film in cui la musica proviene da una fonte interna all’inquadratura. E l’armonia raggiunge acuti altissimi grazie all’adrenalina degli spericolati inseguimenti in auto, coreografati con un realismo ormai quasi nostalgico per la Hollywood di oggi.

Se alla base non ci fosse una profonda cura dei particolari, tutto questo sincronismo non sarebbe possibile. E il direttore d’orchestra divide gli applausi con i suoi musicisti: Kevin Spacey è il solito maestro nell’interpretare il boss che tiene in scacco Baby, il comparto di criminali in cui si alternano Jon Hamm, Jon BernthalJamie Foxx combina comicità e cattiveria, mentre Elgort e Lily James, coppia romantica del film, mostrano una chimica invidiabile.

Baby Driver ha tutto per essere uno di quei film che hai voglia di rivedere subito dopo i titoli di coda: diverte, coinvolge, sorprende. Purtroppo il calendario non lo aiuta, dato che l’uscita segue di una settimana quella di Dunkirk di Nolan, pronto a monopolizzare il post-vacanze. Ma la soluzione è semplice: guardate prima l’uno e poi l’altro. In entrambi i casi, lo spettacolo vale il prezzo del biglietto.

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