
Black is… the new Black
09/01/2018Lo so. È probabile ne abbiate ormai piene le palle dei Golden Globes. Ma prima di ignorare questo insieme di parole, concedetemi una piccola difesa: volevo buttarlo giù un giorno fa, ma per una serie di sfortunati eventi non mi è stato possibile. Quindi, mi limito a un commiato in stile John Belushi prima di iniziare a dire quel che ho da dire sulla 75ma edizione dei premi.
Me la sono goduta la cerimonia di quest’anno, interessante sotto diversi punti di vista, a cominciare dal nero, il colore dominante della serata. Il dress code diceva infatti total black e quasi tutte le star si sono presentate sul red carpet in abito scuro. Mentre le guardavo sfilare ero un po’ pensieroso: da una parte applaudivo l’iniziativa, pensando a quanto Hollywood sia brava ogni volta che vuole costruire e lanciare un messaggio (in questo caso il movimento TIME’s UP in difesa di donne e uomini vittime di abusi); dall’altra, con spirito malizioso, mi chiedevo se, oltre all’aspetto simbolico, alla base di una protesta così compatta non ci fosse nemmeno un briciolo di fashion mood. In fondo il nero snellisce, è sempre elegante e mai fuori moda. E infatti erano tutti fighissimi, forse più del solito. Ma tant’è…
I Globes sono quindi proseguiti e in quanto a premi non mi hanno sorpreso né deluso, ma mi bastava vincessero Tre manifesti a Ebbing, Missouri e Guillermo del Toro (a proposito: hai ragione Guillermo, viva i mostri). Il punto è che vedere la Hollywood femminile unita forse più che mai mi ha fatto riflettere. Di motivi per alzare la voce le attrici ne hanno più di uno, a cominciare dalla discrepanza dei salari con i colleghi maschi, più volte denunciata negli anni in cerimonie ufficiali come questa.
D’altra parte la diversità di trattamento non è certo cosa recente: per esempio, domenica sera guardavo Feud, la serie di Ryan Murphy (quello che si è inventato American Horror Story) che racconta della rivalità tra Joan Crawford (Jessica Lange) e Bette Davis (Susan Sarandon), tra le più feroci di sempre. Il contesto è la lavorazione di Che fine ha fatto Baby Jane? (1962), ovvero uno dei thriller più inquietanti della storia per il sottoscritto. Al centro c’è sì il rancore tra le due attrici, ma anche quanto siano state manipolate dagli uomini intorno a loro, dal regista Robert Aldrich all’allora direttore di Warner Bros., Jack Warner.
Dunque, oggi forse è meglio che l’uomo ascolti in silenzio le frecciatine di Natalie Portman e soprattutto il discorso di Oprah Winfrey, premiata con il Globe alla carriera. Le sue sono state parole di una forza ispiratrice da fare invidia al William Wallace di Mel Gibson in Braveheart. Parole che hanno annunciato l’inizio “di una nuova alba per tutte le donne”, pronunciate con una potenza oratoria che è andata oltre i confini della cerimonia. E, guarda caso, ora Oprah è considerata come l’anti-Trump alle presidenziali del 2020. Se qualcuno deve guidare una rivoluzione, allora è giusto che sia una come lei, figura dal carisma e dall’autorevolezza più che sufficienti per essere leader di un cambiamento vero.
I Globes di quest’anno non potevano esimersi dallo schierarsi contro gli orchi molestatori e contro le tante contraddizioni di un’intera industria. Ma la speranza personale è che il primo passo verso la nuova direzione sia non aspettare l’ennesima goccia che fa traboccare il vaso prima di mostrare coraggio (parola usata spessissimo, forse troppo negli ultimi mesi), di parlare, di compiere azioni decise.
Se poi lo si vuole fare supercool vestiti di nero… beh, tanto meglio.