Il Cavaliere Oscuro, 10 anni dopo

Il Cavaliere Oscuro, 10 anni dopo

23/07/2018 0 Di AndreMovie

Tu hai cambiato le cose. Per sempre“. Lo dice Joker a Batman in una delle scene più belle di Il Cavaliere Oscuro, il secondo capitolo della trilogia di Christopher Nolan sull’Uomo Pipistrello che il 23 luglio di dieci anni fa usciva nelle sale italiane.

Siamo nella sala interrogatori della centrale di polizia di Gotham e Batman e Joker sono faccia a faccia. Quattro minuti intensi, che racchiudono tutta la complessità del film. Tematica, morale, stilistica. Mi ricordo le sensazioni che ho provato in sala: non ero così emozionato di vedere due attori uno di fronte all’altro dai tempi della scena alla tavola calda con Al Pacino e Robert De Niro in Heat – La sfida di Michael Mann…

Tu hai cambiato le cose. Per sempre” dice il Joker di Heath Ledger e dieci anni più tardi sono parole che assumono contorni quasi profetici. Il Cavaliere Oscuro ha proseguito quanto tracciato con Batman Begins qualche anno prima, dimostrando come i supereroi al cinema possano essere più di gente in costume.

Faccio ancora fatica a restare lucido e imparziale parlando di questo film, che mi è entrato sottopelle come pochi altri. Nolan ha realizzato qualcosa che potrebbe tranquillamente non essere un cinecomic: è un film cerebrale, prima che d’azione; è un film in cui ciascun personaggio viene prima degli effetti speciali e, soprattutto, un film che si fa profonda riflessione etica e morale sulla natura dell’uomo, nell’eterno conflitto fra bene e male, ordine e caos.

In molti, parlando del Cavaliere Oscuro, ne sottolinenano subito i toni dark, ma ho sempre pensato che la vera “rivoluzione” del film non sia da ricercarsi nelle sue atmosfere. Per intenderci: Batman era già stato immerso in acque cupe nei primi due film di Tim Burton, ma forse tanti se ne dimenticano per via del twist cartoonesco (ma assai inquietante) del Joker di Nicholson o l’anima freak del Pinguino di Danny DeVito. Non sono le ombre a fare grande il film di Nolan, ma la capacità di inserire tutto in un contesto realistico.

Aaron Eckart - Harvey Dent/Due Facce in Il cavaliere oscuroBatman e Gotham sono realtà tangibili, senza più quegli elementi futuristici e pacchiani delle produzioni precedenti (parlo soprattutto dei film di Joel Schumacher). Il punk, il pittoresco, tutta la tecnologia del supereroe: riscritti, eliminando la componente fumettistica per realizzare qualcosa che fosse vero – o quasi – in una cupa e minacciosa Chicago. Se non si parlasse di Batman, il film potrebbe essere un thriller, un poliziesco, un crime o, meglio ancora, un noir. Sì perché del noir Il Cavaliere Oscuro possiede l’ambivalenza dei personaggi, protagonista su tutti, un Batman vacillante come le sue certezze, messe in dubbio dalla diabolica rete del Joker che insinua in lui l’interrogativo che lo tormenta sin dalle origini: può un vendicatore conservare una morale?

E poi c’è l’indimenticabile performance di Heath Ledger, allucinante e allucinata che, purtroppo, porta con sé la tragica scomparsa dell’attore. O il lavoro di Aaron Eckart, di cui si parla sempre troppo poco: il suo Harvey Dent avrebbe tutto per essere l’eroe senza macchia della situazione, ma suo malgrado, con la trasformazione in Due Facce, è la dimostrazione di come il bene possa venire inquinato, frainteso e sconfitto nel tentativo di prevalere sul male.

L’eredità del Cavaliere Oscuro

Da tutto questo, una consapevolezza: i supereroi al cinema possono essere personaggi ricchi di sfumature. Sam Raimi l’aveva già capito nel 2002 con il suo Spider-Man, Nolan ha dato la sterzata decisiva cambiando per sempre l’immagine di Batman al cinema e con essa il mood con cui concepire i cinecomic.

Dieci anni dopo, il panorama è cambiato non poco. I superuomini ora sono un vera e propria industria che sforna grandi franchise, ma soprattutto logiche di narrazione più vicine alla serialità televisiva.

I contesti sono molteplici: coetaneo del film di Nolan è l’universo Marvel, che proprio nel 2008 lanciava la Fase 1 col primo Iron Man e oggi è diventato un puzzle perfetto di personaggi, storie e marketing.

Quindi il territorio 20th Century Fox, che tra X-Men, Deadpool e i futuri New Mutants negli anni è stato forse quello che più ha sperimentato con stili, contaminazioni e linguaggi.

Sony, invece, sta provando a rilanciarsi pescando dallo Spider-Verse e puntando forte, oltre che sull’Uomo Ragno di Tom Holland, su Venom, che metterà Tom Hardy nei panni dell’amata nemesi di Spidey nel primo cinecomic che promette di non avere eroi protagonisti.

Infine Warner Bros., che con i suoi DC Films sta faticando non poco a trovare una sua coerenza di stili e intrecci narrativi. L’idea di replicare le atmosfere nolaniane, prima con L’Uomo d’Acciaio e poi con Batman v Superman era palese, ma è andata a scontrarsi con un’incertezza strutturale di fondo, troppo improvvisata per essere solida e condivisa come quella Marvel. Il futuro resta sempre un’incognita, così come il destino del nuovo Batman: la caratterizzazione di Ben Affleck ha subito critiche esagerate, figlie anzitutto della Christian Bale Nostalgia e ora il personaggio resta confinato in un limbo creativo e produttivo che coinvolge anche lo stesso Affleck, che forse non vede l’ora di appendere il mantello al chiodo.

Riguardo a Joker, dopo Ledger è arrivata la dimenticabile incarnazione di Jared Leto in Suicide Squad, a cui succederà quella di Joaquin Phoenix nel film di Todd Phillips dedicato al clown di Gotham, una origin story ancora semi-avvolta nel mistero.

Anche se con più fatica del previsto, la bat-ruota continua a girare, ma la verità è che Il Cavaliere Oscuro non può confrontarsi con nessuno di questi ecosistemi, perché opera a sé anche all’interno della sua stessa trilogia. Eppure, se di retaggio vogliamo parlare cercando un film che abbia la stessa capacità di evolvere il cinecomic in qualcos’altro, un “erede” lo vedo in Logan, ultimo capitolo della trilogia di Wolverine. Fra tutti i titoli usciti in questi anni è quello che trovo più vicino al film di Nolan per forza emotiva e capacità di rendersi indipendente dal genere di riferimento per farsi storia totale di redenzione, vendetta, morte e perdono.

Come nel 2008, Logan oggi è l’esempio di un film che rompe i suoi confini tradizionali per diventare un prodotto dal respiro più ampio, quasi come fosse un organismo che nasce, cresce e muore nel suo breve ciclo di vita. Un’evoluzione ancora troppo discontinua nel panorama dei blockbuster, ma preziosa per capire le sfumature infinite dell’intrattenimento di massa.