
Mi ameranno quando sarò morto
29/09/2018Orson Welles ha avuto una sola sfortuna, per quanto mi riguarda: è nato nell’epoca sbagliata. Un personaggio in anticipo sui tempi, troppo grande in tutto, in primis per la Hollywood degli anni ’40, ancora stretta a paradigmi classici – artistici e di business – per sopportare e capire la sua visione rivoluzionaria.
È chiaro che se prima getti nel panico milioni di americani raccontando in radio una finta invasione aliena e poi a 25 anni esordisci alla regia con un film come Quarto potere, che ha tracciato le basi per il cinema come lo conosciamo oggi (in termini di stile e linguaggio), qualcosa di non comune devi avere.
Eppure Welles non ha mai ottenuto il riconoscimento che avrebbe meritato dall’industria in cui lavorava. Certo, la colpa un po’ è anche sua: quando sei un genio tendi a essere un tantino megalomane e lui voleva sempre avere il controllo totale sulle sue produzioni. Cosa che puntualmente non accadeva e quindi via di tagli, nuovi montaggi e finali (vedi L’orgoglio degli Amberson o L’infernale Quinlan, rimaneggiati oltre la tolleranza in post produzione).
Hollywood è un quartiere dorato adatto ai giocatori di golf, ai giardinieri, a vari tipi di uomini mediocri ed ai cinematografi soddisfatti. Io non sono nulla di tutto ciò.
Credo che nessuno dei suoi film sia uscito proprio come lui volesse e chissà se The Other Side of the Wind avrebbe finalmente potuto invertire la tendenza. Welles non è mai riuscito a completarlo perché è morto nel 1985 abbracciato alla sua macchina da scrivere (poteva esserci una fine più poetica?) ma ora Netflix, con una mossa delle sue, è pronta non solo a svelarlo al mondo, ma anche a raccontarne il making of.
Il 2 novembre sulla piattaforma approdano in contemporanea sia il film, completato e restaurato, sia il documentario Mi ameranno quando sarò morto, incentrato sugli ultimi 15 anni della carriera del regista. È diretto da Morgan Neville, già autore del doc 20 Feet from Stardom, premio Oscar nel 2013, che racconta di chi ha lavorato come corista accanto a – e all’ombra di – grandi star della musica.
Una vita nelle retrovie, la loro, come quella vissuta da Orson Welles negli anni ’70, un artista “in esilio” che programmava il suo grande ritorno con un film su un regista che, ormai agli sgoccioli della carriera, cerca di terminare la sua ultima fatica. Ci vedete qualcosa di autobiografico? Gliel’aveste chiesto a suo tempo, Orson avrebbe negato tutto, ma così com’era difficile credergli allora, lo è anche adesso.
Girato in una sorta di guerrilla-style, The Other Side of the Wind ha visto il coinvolgimento di tanti amici e colleghi di Orson Welles, da John Huston a Peter Bogdanovich. Fino a qualche mese fa era considerato il film incompiuto più celebre della storia del cinema, “l’altra faccia di Quarto potere”. Ora è pronto a emergere al fianco dei titoli del momento di Netflix.
Per quanto mi riguarda, lo attendo quanto la terza stagione di Daredevil. Anzi, di più.