
The Nun, la Sister Act indemoniata
30/09/2018Da quando i cosiddetti “universi condivisi” sono diventati di moda, è come se il cinema abbia trovato il modo perfetto per incastrare narrazione seriale, marketing e business. Certo, ci vuole bravura perché funzioni: Marvel c’è riuscita con i cinecomic, Jason Blum con l’horror. The Nun è l’ultimo dei suoi figlioletti spaventosi, ma anche il più tenero a dispetto delle promesse.
Preghiamo…
Secondo spin-off nato dalle costole di The Conjuring dopo la bambolina maledetta Annabelle, The Nun è il prequel dell’intera saga e ci racconta la storia della suora più inquietante di sempre, apparsa in Il caso Enfield, secondo capitolo del franchise.

1, 2, 3, ecco la Nun Dance.
Protagonista è una giovane Irene, che prima di diventare Signora Warren e indagare il paranormale con il marito Ed, scopriamo determinata a prendersi i voti. In caso però non l’avessimo ancora capito, il Male ha un debole per lei e stavolta la conduce, insieme a un prete-detective-esorcista tormentato e un giovanotto belloccio e coraggioso che si fa chiamare Francese, in un’abbazia medievale rumena dove alberga la “Sister Act” indemoniata.
L’antica storia di quelle mura e delle sorelle che le custodiscono è il mistero da risolvere, il resto è tutto crocifissi rovesciati, possessioni, corridoi oscuri e, ovviamente, suore. Suore ovunque.
“Dio finisce qui”. Mah…

Vera e Taissa Farmiga (@VeraFarmiga, Twitter)
The Nun avrebbe tutti gli ingredienti per spaventare sul serio: ambientazione maledetta in ogni angolo, eterno conflitto tra fede e oscurità, una produzione che vince a questo gioco ormai da anni e una protagonista, Taissa Farmiga (sorellina di Vera, l’eroina di The Conjuring), tanto tanto carina e perfetta per essere una scream queen in tonaca. Il problema è che ciò che ha funzionato – e bene – per la maggior parte dei successi della Blumhouse Factory, qui scade nel più classico dei cliches e a parte qualche saltello piacevole sulla sedia non viene offerto granché.
I vari The Conjuring, Insidious, o Annabelle, si reggevano su una solidità narrativa che permetteva ai soliti trucchetti del mestiere di spaventare davvero. Per capirci: il costruito diventava invisibile e la storia riusciva a creare quella suggestione psicologica tale da non farti respirare neppure a un semplice “battimani”.
La suora non basta
The Nun, forse ubriacato nel suo stesso set-up da vincere facile, scopre troppo facilmente il pre-confezionato perdendosi in twist intuibili a chilometri di distanza, situazioni un po’ campate per aria e le irritanti contraddizioni dei protagonisti dei film horror, che pur di andare incontro a morte certa (o quasi) farebbero di tutto.
ll trio protagonista, infatti, nel complesso ha il livello di attenzione di un adorabile gattino: non c’è situazione in cui un rumore o una vocina malefica non distraggano dall’azione principale. Una volta si può tollerare, ma sempre comincia a creare quasi un effetto di meta-parodia. E questo, ovviamente, sgonfia la tensione, nonostante la suora del titolo faccia egregiamente il suo lavoro.
Amen
Il successo del film, però, non è immeritato (330 milioni di dollari nel mondo a fronte di 22 milioni di budget), né caduto dal nulla perché figlio sia di una campagna promozionale che non ha sbagliato nulla nel generare hype, sia di quanto seminato da Blumhouse in questi anni. Un’autorevolezza che la casa di Jason Blum ha saputo costruire e rafforzare film dopo film, guadagnandosi la fiducia del suo pubblico.
Stavolta la sensazione è che abbia vissuto un po’ troppo di rendita. Con numeri così ci si può passare sopra, ma attenzione a rilassarsi troppo…