
Venom: ma non doveva NON essere l’ennesimo supereroe?
07/10/2018Il mondo ha già abbastanza supereroi recitava la campagna promozionale su cui Sony ha costruito il lancio di Venom. Una promessa di un eroe diverso, antieroe per definizione, che avrebbe investito come uno tsunami il gruppone di eroi buoni, belli e bravi già all’opera al cinema. Piccolo problema: Venom, alla fine, è un eroe come gli altri. E salva pure il mondo. Morale della favola: “l’effetto Suicide Squad” ha colpito ancora.
Nessuno spoiler, solo semplice logica di un genere che a fatica riesce a uscire dalle gabbie del PG-13 e del suo classico intrattenimento.
Una storia a sé
Venom è un film concepito per essere un film a sé, slegato da qualsiasi universo Marvel esistente. Si ispira alla storia a fumetti, ma va per la sua strada. Eddie Brock non ha nessun risentimento per l’Uomo Ragno – anzi, manco lo conosce -, né è così stanco di sbattere la testa contro il sistema da avere pensieri suicidi. Qui è un giornalista d’inchiesta che in un giorno solo perde donna e lavoro commettendo due imperdonabili errori:
- Legge a tradimento una mail nel computer della sua ragazza avvocato, gesto tanto grave da mandare all’aria le nozze prossime.
- Fa le domande (giuste) sbagliate a una sorta di scienziato megalomane che usa cavie umane per trovare l’unione perfetta con vari simbionti alieni e poi chissà, evolversi nella razza definitiva che possa governare la galassia (mah).
Non chiamatelo parassita
Quello che speravo di vedere dal rapporto fra Brock e Venom era una relazione un po’ a-la-Dr. Jekyll e Mr Hyde. Il dualismo sì, c’è, ma tende troppo facilmente (e in fretta) verso il bene. Anzi, la sensazione è che di malvagio non ci sia un bel niente. Tutta la complessità del personaggio è ridotta a un quadretto che fa persino tenerezza, animato da battibecchi divertenti in mezzo ai quali Venom si rivela uno strambo vigilante: un protettore letale dall’aspetto mostruoso (non chiamatelo parassita, si offende), fame insaziabile (di cervelli soprattutto) e un cuore tenero nei confronti del suo ospite e di chi gli sta intorno, ex fidanzata compresa. Perché non insistere di più sul lato oscuro? Beh, perché la storia non è stata scritta per averne uno, ma solo per introdurre quello che forse sarà uno dei percorsi di questo ancora non ben definito SpiderVerse targato Sony.
Ci pensa Tom
Una volta metabolizzato come stanno le cose, il film fa il suo compitino, ossia intrattiene con il minimo indispensabile. La filosofia del non sbattersi più di tanto avvolge anche la performance di Tom Hardy, che a tratti sembra dire “va beh, se proprio lo devo fare, facciamolo”. Il suo meglio, per intensità e carisma, l’attore l’ha espresso in altri contesti, ma grazie a un talento naturale che gli permette di essere empatico anche solo muovendo gli occhi, gestisce la situazione quanto basta per dare credibilità alla vita schizofrenica del suo personaggio e a far interagire due personalità che via via diventano una cosa sola.
E a parte un combattimento finale che alterna momenti piuttosto fighi ad altri più incasinati in cui si confonde tutto in stile Transformers, il ritmo è in linea con la tradizione di cui Venom fa parte.
Se questo vi basta, allora due orette spensierate al cinema le troverete. Io cerco una magra consolazione pensando a Woodi Harrelson in una delle due scene post credit. A volte ci si accontenta di poco…