
In sala e su Netflix: Roma, un passo verso il futuro?
02/12/2018Dal 3 al 5 dicembre Roma, il film di Alfonso Cuarón vincitore del Leone d’Oro a Venezia 75, esce in una cinquantina di sale italiane. Poi, dal 14 dicembre, solo in streaming su Netflix. La distribuzione del film – in Italia gestita da Lucky Red e Cineteca di Bologna – ha generato più di una controversia: da una parte gli esercenti, irritati di aver avuto solo le briciole di una torta dal forte profumo di Oscar; dall’altra Netflix, “il grande Satana”, che ha semplicemente fatto Netflix, ossia se n’è sbattuta di tutta la faccenda sottolineando l’esclusività della situazione (trovate forse riferimento a Lucky Red e Cineteca sul poster? Io no).
Ora, si può discutere senza sosta su chi possa avere ragione o torto, ma si perderebbe di vista una domanda importante: e se il caso Roma fosse un primo punto di partenza verso il futuro dell’audiovisivo?
Un futuro in cui la fruizione in streaming e in sala coesistano e non si urlino contro. Un futuro in cui offrire al pubblico la possibilità di scegliere se vedere un film a casa, sul proprio divano, oppure al cinema. O chissà, entrambe le cose. Si parla di esperienze di fruizione diverse, ciascuna con caratteristiche, dinamiche e strumenti propri. Perché privarsi di una o dell’altra?
Oggi è come se ci siano due grandi categorie di pubblico: chi va ancora al cinema e difende la sacralità della sala e chi invece si definisce figlio dei propri tempi, preferendo il consumo liquido dello streaming legale. Due estremi che però sono facce della stessa medaglia e nascondono la fetta di pubblico che sta in mezzo, ossia che continua ad andare al cinema e allo stesso tempo consuma volentieri i cataloghi on demand.
Sia chiaro, l’industria del cinema fa bene a tutelarsi. In fondo, è come se Netflix ci abbia tassato tutti, mettendo in conto la sottoscrizione di un abbonamento per chiunque stia venendo al mondo in questo momento. In più, tanti nomi importanti stanno andando “dall’altra parte”, per lavorare col colosso on demand – penso solo ai fratelli Coen con La ballata di Buster Scruggs o Martin Scorsese con l’attesissimo The Irishmen -.
Eppure uno scenario di coesistenza non è un’utopia, occorre venirsi incontro. Come? E’ giusto un’idea, ma non sarebbe male se Netflix, dopo una finestra di tempo stabilita dall’uscita sulla piattaforma, desse la possibilità agli esercenti di riproporre alcuni suoi titoli con una distribuzione più ampia, arricchita dall’organizzazione di eventi in spazi allestiti ad hoc. Sarebbe un modo interessante per integrare (e completare) l’esperienza di visione offerta dal servizio in streaming. Roma è un caso un po’ particolare, più di nicchia, ma se penso a Scorsese e al suo cinema, un po’ mi scazza godermelo solo dal mio divano e dalla mia tv, per quanto li ami. Quindi il ragionamento (il sogno) sarebbe da fare soprattutto sui grossi titoli, non solo quelli più autoriali.
Netflix è un ambiente chiuso: qualunque titolo, originale o meno, entri nel catalogo, si può vedere solo sulla piattaforma e non al di fuori. Una barriera che potrebbe trovare dei varchi con la soluzione giusta.
E qui, sorge un altro spunto di discussione: molti cinema italiani, multiplex o di città, avrebbero bisogno di una bella restaurata. Ci fossero soldi da investire – e purtroppo scarseggiano – li investirei in architetti. La sala non può e non deve essere soltanto un luogo di fruizione, ma anzitutto un luogo di condivisione. Condivisione di più esperienze, non solo di quella su grande schermo. Servono più spazi fisici stimolanti e pensati per resistere su lungo termine, non solo nell’eccezionalità di un evento.
Netflix, comunque, non ucciderà il cinema. Non è solo la speranza di un romantico, lo dice la storia. Il sonoro non ci è riuscito, la tv a colori non ci è riuscita, le VHS nemmeno. Internet? Idem. Quello che è successo è che il cinema si è adattato al progresso. Ha cambiato linguaggi e strumenti, si è rinnovato. Netflix, Amazon Prime, Infinity, Tim Vision e amici non sono ostacoli, bensì nuovi accessi a un mondo che è sempre stato in movimento e sempre lo sarà, non importa dove lo si guardi. Serve, però, la forza di muoversi con lui e per lui. È un gesto dovuto: siamo tutti in debito da quel giorno del 1902, quando Georges Méliès ci ha accompagnati sulla luna.