YOU, dalla parte del maniaco

YOU, dalla parte del maniaco

27/01/2019 0 Di AndreMovie

È possibile, in tempi di Me Too e in cui di violenza sulle donne si parla un giorno sì e l’altro pure, “prendere le parti” di uno stalker omicida? La storia di YOU, prima romanzo di Caroline Kepnes e ora serie originale Netflix, ci mette di fronte a questa scomoda domanda.

Non ho letto il libro, quindi mi limito a parlare della serie. Guardare YOU ti incanala in un tunnel di sensazioni contrastanti. Voglio dire, non dovresti temere che qualcuno specializzato in violazione della privacy (domestica e web) venga sgamato, eppure succede. Non dovresti trovare giustificazioni per chi uccide senza grossi rimorsi, eppure succede. Infine, non dovresti farti coinvolgere dalla storia della coppia principale come se fosse una relazione comune… Tifare perché tra Joe e Beck, i due protagonisti, possa funzionare. Eppure, indovinate, succede.

È un’esperienza da farti sentire sbagliato, quasi, e infatti episodio dopo episodio in un certo senso sei tu a sentirti uno spione. Un maniaco del controllo, un voyeur, un Dr. Jekyll e Mr. Hyde.

Il punto è che è tutto diabolicamente ambiguo. Joe (Penn Badgley: non lo vedevo da quando correva dietro a Blake Lively in Gossip Girl), ci parla fin da subito con una voce narrante che ne accompagna gesta e pensieri. Si confida con noi, come un amico. E, cosa più furba e importante, si presenta subito per quello che è con un’onestà che stranisce. A volte sembra persino guardarci negli occhi chiedendo: “sicuri che io e voi siamo così diversi?“.

Non sono cattivo, è che mi disegnano così… Penn Bagdley in YOU.

La risposta in realtà è ovvia, ma contrasta con il beneficio del dubbio che Joe riesce in qualche modo a guadagnarsi ogni volta. Come se a un’azione da maniaco ne corrisponda sempre un’altra da bravo-ragazzo-angelo-custode. E allora si inizia a guardare la cosa dal suo punto di vista.

Non è piacevole mettersi nei panni di un personaggio così controverso e ancor più difficile, a livello di scrittura, è trovare l’equilibrio tra il buono e il mostro perché scatti empatia. YOU questo equilibrio lo trova e ci fa riflettere trovando ganci laddove non ci dovrebbero essere appigli. Il dialogo con lo spettatore è interessante, in termini di linguaggio, perché creando vicinanza con Joe la narrazione ci mette davanti a uno specchio che riflette anche i nostri lati più oscuri.

È vero, abbiamo a che fare con un soggetto disturbato, un assassino, ma chi potrebbe affermare di non aver mai sbirciato il profilo social di un altro, conoscente o meno; di non essere mai stato geloso, agendo d’istinto magari; o di non aver mai letto le chat di un telefono che non fosse il proprio? E se ci proclamiamo innocenti, estranei a ognuna di queste azioni, possiamo davvero dire di non averci mai neppure pensato? La serie vive di estremi, ma il confine che separa una relazione sana dall’ossessione soffocante è spesso molto sottile. E di fronte a certi impulsi, nel caso di Joe molto violenti, cede.

La domanda inquietante, che alla fine resta, è una sola: quanto c’è, di Joe, in ognuno di noi?