Toy Story 4, a ognuno il suo giocattolo

Toy Story 4, a ognuno il suo giocattolo

23/07/2019 0 Di AndreMovie

Premessa: la saga di Toy Story per me si conclude con il terzo capitolo. Ossia con Andy che, ormai pronto per il college, cede i suoi giocattoli a una bimba che ne avrà più bisogno di lui. Una scena che ancora mi fa scendere qualche lacrimuccia.

Per questo motivo mi sono avvicinato al quarto capitolo della saga Pixar con un certo scetticismo. Perché farne un altro, mi chiedevo? Era già un finale perfetto, emozionante, per quale motivo ostinarsi a prolungare la serialità di una storia che mi accompagna dal 1995? E in più sapevo che per me Woody senza la voce di Fabrizio Frizzi non sarebbe stato Woody. Insomma, partivo un po’ prevenuto.

Ma il bello del cinema, come della vita, è che spesso porta a ricrederti e dunque eccomi qui a parlare di un film che sì, ha tutte le caratteristiche del finale alternativo, eppure funziona e coinvolge.

Un gancio più intelligente per la storia, forse, non si poteva trovare: Woody, abituato a essere il giocattolo numero uno, si ritrova confinato nell’armadio della piccola Bonnie, che gli preferisce altri compagni. Stavolta, però, nessuna gelosia: il cowboy è più preoccupato a fare da guida al nuovo giocattolo preferito della bimba, Forky, da lei stessa costruito durante il difficile primo giorno d’asilo.

Ed è questo il cuore narrativo del film: nel suo nuovo ruolo di mentore, Woody deve affrontare le difficoltà di andare avanti senza il suo Andy. Un addio difficile che lo ha cambiato, smarrendolo. E non è forse così che ci si sente dopo una separazione? Alla deriva, in crisi esistenziale, in balìa della corrente e delle proprie incertezze?

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Woody e Forky in “ti insegno a essere un giocattolo”

Ho sempre trovato molto poetico il modo in cui la saga di Toy Story descrive il rapporto di un bambino con i suoi giocattoli: è quasi una relazione simbiotica, perché è grazie a quei pupazzetti che, durante l’infanzia, si scopre quanto sia bello mettere in moto la fantasia e quanto sia rassicurante avere qualcosa (o qualcuno) a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà.

L’abilità della saga è stata quella di innescare, episodio dopo episodio, il graduale abbandono dell’innocenza infantile, sino al terzo film, il più adulto di tutti. Toy Story 4 non ha lo stesso spessore emotivo del predecessore, ma ha l’intelligenza di far provare a Woody la stessa, amara consapevolezza che la realtà della crescita aveva suscitato in Andy. Ed è in questo senso che si veste da buon “finale alternativo” di una storia che, come detto, aveva già trovato la sua conclusione.

Parentesi tecnica: notevole è l’attenzione per la resa visiva dei materiali con cui sono fatti i singoli personaggi, che siano di peluche o di porcellana. Se nel 1995 il primo Toy Story apriva una nuova era per il film d’animazione hollywoodiano, che avrebbe cambiato per sempre la storia del genere, nel 2019 Toy Story 4 innalza l’asticella, dimostrando come oggi siano illimitate le possibilità per il cinema di ingannare il vero con la finzione.

Adesso, però, è davvero ora di crescere e di salutare i giocattoli con cui siamo cresciuti con un grazie.

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Per ogni Woody c’è sempre un Buzz.