Derry ci chiama. La recensione di IT – Capitolo 2

Derry ci chiama. La recensione di IT – Capitolo 2

08/09/2019 0 Di AndreMovie

Quando si diventa grandi, certi ricordi dell’infanzia sbiadiscono. Non sono dimenticati, perché in fondo nulla si dimentica. Rimangono solo sepolti sotto la polvere della memoria e del tempo. Allora serve qualcosa che li risvegli, un catalizzatore. Per i “Perdenti” di Derry ha un nome e un cognome: Mike Hanlon. È lui che richiama i suoi vecchi amici uno ad uno per onorare un patto di sangue stipulato 27 anni prima. Un patto che li ricatapulta sotto quella polvere, laddove riposano paure, sorrisi e incubi che in fondo non li hanno mai lasciati.

IT – Capitolo 2 riparte da dove l’episodio precedente si era concluso e nelle quasi tre ore di durata ci trascina in un viaggio in cui troviamo praticamente di tutto: jumpscares (ben costruiti), risate che spezzano la tensione, sensi di colpa, tanta nostalgia di quelle sensazioni d’infanzia irreplicabili da adulti. Muschietti non si adagia sui record del primo film e realizza un sequel ambizioso sì, ma onesto, con un’anima, forse più macchinoso del capitolo Uno, ma sempre rispettoso delle atmosfere kinghiane. E non è un dettaglio da poco.

IT - Capitolo 2: i perdenti si ritrovano.

Perché certo, IT è la storia di un clown mutaforma alieno che divora bambini e ragazzini (ah, pure Xavier Dolan: WTF) ma è anzitutto una storia di formazione e questo lo ripeterò fino alla nausea. L’horror è solo la cornicetta (o uno dei tanti strati) in cui questa storia si sviluppa. Il primo film viveva di meravigliosi momenti di amicizia e coraggio, tipici solo di un’età confusa e complicata come l’adolescenza. Il sequel ci ripresenta i protagonisti cresciuti ma ancora bloccati da un passato traumatico che non li ha mai lasciati, condizionandone le vite da adulti. E che ora riaffiora con violenza.

IT - Capitolo 2: i perdenti

Il richiamo di Derry, città maledetta ma forse lasciata un po’ troppo sullo sfondo, li riporta a contatto non solo con Pennywise, ma con demoni dormienti. Ognuno ha il suo e il film ce li rivela dividendo il gruppo attraverso tanti piccoli episodi infarciti da flashback preziosi, che scoprono carte dell’infanzia dei personaggi rimaste nascoste nel primo capitolo.

Questo dona ulteriore profondità ai Perdenti e vederli attraverso un gioco di specchi tra passato e presente è la chiave per creare l’empatia giusta, che evita al lavoro di Muschietti di trasformarsi in una sorta di “Goonies da grandi”.

Si corre dunque sul filo che collega due timeline con Pennywise a divertirsi nei panni del sadico burattinaio. Io sto lì a guardarlo, chiudo gli occhi (sono onesto) quando prende di mira un’adorabile bambina sotto gli spalti di un campo da baseball – per me, la scena più impressionante del film – e aspetto il gran finale. Perché la seconda parte del romanzo di Stephen King vive di momenti infilmabili, di passi che sfociano in una sorta di fantascienza lovercraftiana capaci di vivere solo nella mente senza confini di un lettore. Il rito di Chud era uno di questi, per esempio, e Muschetti tutto sommato se la cava. Ma è nel delirio horror finale che il regista si diverte un mondo.

IT - Capitolo 2

Della serie: fottesega, abbiamo fatto i bravi sino adesso, ora scateniamoci. Lo scontro sotterraneo con IT così diventa un festival mostruoso, senza redini, che conduce a un epilogo molto in stile Stand by Me e per questo anche commovente.

Alla fine c’è da restare soddisfatti perché l’essenza del lavoro di King respira in entrambi i capitoli. E credo sia questo il grande merito di Muschietti, insieme al non essersi adagiato, andando avanti per la sua strada, facendo i film che voleva fare: il primo, squisitamente teen, in piena corrente Stranger Things; il secondo più maturo (e disilluso), più horror, e con un’arma invidiabile: un Bill Hader gigantesco.

Bip Bip, Richie.