Ad Astra, l’odissea interiore nello spazio di Brad Pitt

Ad Astra, l’odissea interiore nello spazio di Brad Pitt

28/09/2019 0 Di AndreMovie

Se mi chiedessero di trovare una parola che definisca il cinema di James Gray, userei questa: “profondità”. Che sia una storia di vendetta con protagonisti due fratelli (I padroni della notte), di un amore (Two Lovers), o di un’ossessione, per la scoperta e l’ignoto (Civiltà perduta), il risultato è sempre un film che trascina nelle profondità della narrazione. Ad Astra, sci-fi con Brad Pitt protagonista, non sfugge alla tradizione.

Pitt è un astronauta esperto, quasi robotico per l’autocontrollo con cui vive le proprie emozioni. Quando parte alla ricerca di suo padre (Tommy Lee-Jones), leggenda dello spazio e creduto morto da anni, la corazza comincia a scricchiolare, così come l’equilibrio emotivo. E il film si svela per quello che è: un’intima odissea nello spazio dalla grande potenza visiva.

Gray ci conduce ai confini del sistema solare allo stesso modo con cui ci guidava nella giungla labirintica di Civiltà perduta. Al di là della differente ambientazione, i due film raccontano il viaggio interiore dei loro protagonisti. Un viaggio lungo, difficile, che li mette alla prova, faccia a faccia con i loro fantasmi personali.

Appurato questo, il film si può vivere come un’avventura che è una sorta di “Cuore di tenebra” nello spazio. Un’esperienza che, strada facendo, si fa sempre più interiore: la fotografia diventa più ipnotica e allegorica, i dialoghi si trasformano in monologhi intimi al limite del flusso di coscienza, quando l’equilibrio emotivo di Pitt è spinto al limite. Il ponte è la relazione col genitore, un rapporto difficile fatto di assenze pesanti, fratture che hanno inevitabilmente condizionato la vita del figlio.

Non è un cinema facile, di certo non è una fantascienza mainstream – due i momenti più action: l’incipit, con un incidente che deve tanto all’inizio di Gravity, e un inseguimento sulla luna, godibile ma giusto come scossa improvvisa -, ma il livello di autorialità è alto e unisce la sensibilità registica di Gray alle possibilità tecniche di effetti speciali che ormai annullano le distanze fra il pubblico e tutto ciò che è oltre l’atmosfera. Il buon Brad, dal canto suo, gestisce con maturità una performance la cui intensità è modulata in sguardi allo specchio, riflesso che conduce alla propria anima. Profonda come lo spazio infinito.

Ad Astra