Joker, una risata di ordinaria follia

Joker, una risata di ordinaria follia

04/10/2019 0 Di AndreMovie

“Come sopravvive questo misero, patetico esemplare, nel mondo crudele e irrazionale di oggi? Purtroppo la risposta è non molto bene.”

Batman – The Killing Joke, Alan Moore e Brian Bolland

In The Killing Joke, nel corso del suo diabolico piano ai danni del commissario Gordon, Joker rifletteva sulla condizione dell’uomo medio nella società in cui vive. Un mondo psicotico verso cui l’unica reazione possibile è la follia. Difficile pensare che Todd Phillips non si sia ispirato al fumetto di Alan Moore e Brian Bolland per realizzare il suo Joker. Un cinecomic sui generis, dall’impianto autoriale, underdog come il suo protagonista. Neppure Warner Bros. ci credeva sul serio, preoccupata dai toni cupi della vicenda, ma il film ha trovato la riscossa con gli applausi del pubblico, i soldi al box office e i premi a un Festival importante come quello di Venezia.

Era dai tempi di Logan che non vedevo un cinecomic con una tale carica emotiva. Ma qui si va oltre il genere: se non si parlasse di Joker, il film sarebbe un dramma puro, con un protagonista disperato.

Il ritratto offerto dal regista di Una notte da leoni è inedito per la storia cinematografica del clown di Gotham. Apre una dimensione ancora inesplorata, ossia quella di un uomo, Arthur Fleck, che ci viene presentato subito in tutta la sua tragicità. E’ un individuo solitario, mentalmente instabile, alla deriva in un ambiente che lo calpesta con reiterata violenza. Quanto può volerci prima che tutto questo scateni una reazione distruttiva da cui è impossibile tornare indietro?

Tutto è sulle spalle della performance di Joaquin Phoenix, per cui si sprecano gli aggettivi. La grandezza dell’attore sta nell’essere riuscito a fare proprio un personaggio iconico, già consacrato dalle prove immortali di Jack Nicholson e Heath Ledger, trovando nella risata l’elemento che ne descrive l’essenza. È la variante che trasporta il personaggio in una dimensione nuova rispetto alla tradizione. Basta ascoltarla una volta per capire quanto sia dolorosa, isterica, incontrollata. Disturbante, figlia di un handicap neurologico paragonabile a una specie di sindrome di Tourette che lo porta a ridere nei momenti peggiori, di imbarazzo o nervosismo.

Joker - Joaquin Phoenix
Joaquin Phoenix in una scena di Joker.

Sofferenza e alienazione sono palpabili e noi siamo lì, a osservare solo apparentemente dall’esterno perché in realtà sin dall’inizio guardiamo il mondo di Arthur con i suoi occhi. Gli occhi di una figura sempre più al limite, figlia (anche) di una società marcia nell’anima.

Ed è questo che spaventa: la consapevolezza che a generare la metamorfosi di Arthur in Joker non sia stata solo una mente malata o criminale, bensì (e soprattutto) chi l’ha sempre ignorato, ingannato, o peggio preso a calci. Viene da pensare che forse l’unico modo per rispondere al disordine sia un caos ancora più degenerato e violento. Un’anarchia libera, che respira e urla verso il cielo.

Ma allora dove finiscono le regole? Dove finiscono l’ordine, la gentilezza e il rispetto che dovrebbero essere alla base della vita di ciascuno di noi? Ce lo chiede Arthur, e ce lo chiede in faccia. Poco importa se solo alla fine ci rendiamo conto di essere rimasti sospesi fra la verità e l’immaginazione di un uomo malato. L’ascesa di Arthur è un grido di ribellione e allo stesso tempo è un grido d’aiuto. A noi la scelta su quale dei due ascoltare.