
American Horror Story 1984: bello tornare a Crystal Lake
18/11/2019Spesso, a ragione o torto, dell’horror si critica la ripetitività, dimenticandosi forse di come la serialità lo accompagni sin dalla prima vittima. Tutte quelle situazioni che vengono via via riproposte tra ammazzamenti vari, altro non sono che codici di un linguaggio interpretabile in qualsiasi direzione. E se c’è una serie che in questi anni ha esplorato il linguaggio dell’horror in ogni (o quasi) declinazione possibile è American Horror Story.
Dopo manicomi, case infestate, clown assassini, streghe e chi più ne ha più ne metta, giunto alla nona stagione lo show di Ryan Murphy ha pensato bene di buttarsi in un revival dell’inarrivabile corrente slasher degli anni ’80. Lo sto guardando in questi giorni di pioggia “fiiiine fiiine che ti punge o grossa grossa che ti ammacca” (tvb Forrest): citazioni e omaggi si sprecano e gli stereotipi grondano insieme al sangue degli sventurati che ci rimettono la pelle. Eppure, mi sto divertendo un sacco.
“Com’è possibile?! Non vedi che è tutto di una noia… MORTALE??? Muahahah” mi chiede il diavoletto sulla spalla sinistra che NON ha senso dell’umorismo… Beh, ho una teoria: tutto ciò che sembra già visto, non è noioso se “riciclato” come si deve.
American Horror Story 1984 non ci mette molto a presentarsi, anzi lo fa dai primi minuti dell’episodio 1, dedicati a un massacro di adolescenti eccitatissimi in un campeggio estivo isolato, nei boschi, sul lago (vi ricorda qualcosa?). Segni distintivi del killer: il tintinnìo di un mazzo di chiavi come motivetto-presagio di morte, un coltellaccio come arma preferita, il macabro vizio di prendersi le orecchie dei malcapitati come souvenir e il nome, Mr. Jingles, lo stesso del tenero topolino di Il miglio verde di Stephen King (sì, sempre il Re. Coincidenza? Non credo proprio).
Dopo lo splatter, arriva una intro che più kitsch non si può, seguita da una lezione di aerobica che sembra uscita dritta da una delle celebri cassette di Jane Fonda. E’ tutto squisitamente anni ’80 e la serie è onesta da subito, perché ti saluta dicendoti “ciao, stai tranquillo: ti sembra di conoscermi, ma fidati, ti divertirai”.

Io mi fido e sì, non c’è niente che non riconosca o che non riesca a prevedere, ma tutta questa familiarità col territorio in un certo senso mi fa sentire a casa. E io a casa mia ci sto bene. Quindi vado avanti e nel suo mood da faccio-quello-che-mi-pare ma lo faccio bene, AHS 1984 mi trascina a Redwood Camp, alias Crystal Lake, anni dopo la prima mietitura di Mr. Jingles. Lungo il viaggio semina bricioline ben precise, casomai mi smarrissi in momenti WTF. Che non mancano affatto. In soli due episodi mi ritrovo: un campeggiatore sbucato dal passato che, afflitto dalla stessa maledizione di Bill Murray in Ricomincio da capo, muore per ritornare in vita subito dopo; un matrimonio che degenera in strage; un produttore di porno gay che sbircia un macho super dotato mentre si fa la doccia.
Mi chiedo cos’altro mi aspetterà nelle prossime puntate e allo stesso tempo rifletto su come sia rassicurante il modo in cui Ryan Murphy non pensi neppure per un secondo di fare il secchione che si prende così tanto sul serio da accartocciarsi su se stesso. E’ uno che conosce la materia, ne rispetta ruoli (dei personaggi) e regole (narrative) e si diverte a omaggiarla o dissacrarla, senza rimpianti.
Difficile non seguire fino in fondo uno così, che costruisce il suo Venerdì 13 consapevole sia di non fare nulla di rivoluzionario, sia di essersi abbandonato alla febbre di “cosa resterà di questi anni ’80”, da cui Hollywood ormai pare non guarire più. Qui il lavoro di Murphy consiste nel ripescare un decennio irripetibile per sottolineare quanto la cultura horror moderna sia in debito con Jason Voorhees, Michael Myers e soci. Mostri che hanno creato uno stile riconoscibile, con coordinate facili da individuare ma da leggere anche con intelligenza.
E niente, ormai la serie mi ha comprato. Aspetto felice di ritrovare Emmina Roberts & Co. per scoprire il prossimo WTF e chi sopravviverà al tintinnío delle chiavi di Mr. Jingles. Din din din…
