Golden Globes 2020, la grande vendetta contro Netflix

Golden Globes 2020, la grande vendetta contro Netflix

06/01/2020 0 Di AndreMovie

La 77ma edizione dei Golden Globes ha svelato i suoi vincitori. Facciamo solo un rapido passo indietro alle nomination: Netflix le aveva pressoché dominate. Solo per il Miglior film drammatico, in corsa c’erano Storia di un matrimonio, The Irishman e I due papi, ossia tre titoli su cinque candidature. Alla fine della cerimonia, il piatto piange: due globi d’oro, per Laura Dern (miglior attrice non protagonista in un film drammatico per Storia di un matrimonio) e Olivia Colman (miglior attrice in una serie drammatica per The Crown). Un po’ pochino…

Hollywood vs Netflix: è guerra

Il tonfo di Netflix di quest’anno fa riflettere. Difficile non guardarlo con occhio maligno e interpretarlo come un attacco diretto della Hollywood cinematografica (lato esercenti in primis) alla piattaforma on demand.

Storia di un matrimonio e The Irishman avevano ottenuto rispettivamente 6 e 5 nomination ai Globes, eppure il film di Baumbach ha visto premiata solo la Dern in un ruolo da non protagonista, mentre il gangster movie di Scorsese non ha vinto nulla. Perché?

Parto da The Irishman. Faccio fatica a non trovare un legame fra gli zero Golden Globes e il mancato accordo con le due grandi catene di multisala americane, AMC Theatres e Cineplex. Tutto riguarda la distribuzione del film: di regola ci dovrebbe essere una finestra temporale di 90 giorni fra la release al cinema e la disponibilità on demand, cosicché le sale possano essere il primo canale di fruizione del prodotto. Per The Irishman, Netflix aveva preteso solo 45 giorni, cosa che ha mandato su tutte le furie i cinema. Non solo d’America, perché dall’Australia all’Italia il film ha trovato spazio limitato giusto nelle catene più di nicchia, d’essai, indipendenti.

The Irishman: 17 milioni di spettatori unici dopo i primi 5 giorni di programmazione su Netflix.

John Fithian, il presidente della US Cinema Industry Association, aveva commentato la faccenda in un’intervista a The Hollywood Reporter, definendola “una disgrazia, una mancata opportunità strategica per Netflix. Avere una finestra cinematografica privilegiata permetterebbe ai film di raggiungere il loro massimo potenziale commerciale. Limitando la distribuzione di The Irishman, Netflix ha voluto mandare un segnale agli stessi filmmaker: anche se sei Martin Scorsese, lavorando con Netflix non avrai la diffusione in sala che vorresti“.

Anche Ricky Gervais, il presentatore della serata, ha ironizzato sul dominio Netflix al giorno d’oggi: “Nessuno più va al cinema, tutti guardano solo Netflix. Oggi avrei dovuto salire su questo palco e dire solo “Netflix, hai vinto”. E invece il nulla cosmico.

Mai come quest’anno la frattura fra i due mondi è aperta e profonda. Già l’anno scorso la stessa polemica aveva avvolto Roma di Cuaròn, mitigata dal trionfo pressoché a Venezia (Leone d’Oro) e agli Oscar, e dal peso commerciale del film, minore rispetto a quelleo di The Irishman. Immagino quanto gli esercenti si siano sentiti derubati da Netflix e traditi, in un certo senso, da un regista come Scorsese, che forse ancora consideravano come uno dei pochi puristi della sala cinematografica rimasti in circolazione, a Hollywood e non solo. Perderlo è stato un bel colpo allo stomaco, e ora ho la sensazione che snobbare il regista, De Niro, Pacino e Pesci, sia un messaggio di risposta, che recita: adesso si paga il conto.
A The Irishman, dunque, sono seguiti a cascata tutti gli altri candidati Netflix, purtroppo Storia di un matrimonio in testa, che dopo Venezia continua a non ricevere quanto meriterebbe. A questo punto nutro poche speranze in vista degli Oscar (sigh).

Voi direste: ma cosa c’entrano gli esercenti coi Golden Globes, mica sono solo la giuria. Vero, ma credo che il discorso riguardi un’intera industria, con la sua storia e la sua filosofia, di cui l’HFPA (Hollywood Foreign Press Association, giuria dei Globes) fa parte. Se Netflix avesse trionfato su entrami i fronti, cinema e tv, sarebbe stato come decretare il cambiamento definitivo di un mondo e delle sue logiche, di linguaggio, di fruizione e commerciali. Un cambiamento al quale Hollywood temo non sia ancora pronta.

Quentin e altre sorprese

Mentre la serata di Netflix diventava sempre più amara, gli altri trionfavano. Sarò di parte (anzi, con lui sono sempre di parte), ma non posso non essere felice quando Quentin Tarantino riceve un premio. Tre i globes per C’era una volta a Hollywood: miglior film nella categoria commedia o musical, miglior sceneggiatura e miglior attore non protagonista a Brad Pitt, ruolo che in realtà gli sta stretto perché il suo Cliff Booth è importante quanto – se non di più – il Rick Dalton di Leonardo DiCaprio.

Brad Pitt in C'era una volta a Hollywood
Brad Pitt in una scena di C’era una volta a… Hollywood

Esulto anche per le migliori attrici protagoniste Renée Zellweger e Michelle Wiliams, splendide interpreti una di Judy, il biopic su Judy Garland, l’altra della miniserie Fosse/Verdon. Ed è emozionante vedere Tom Hanks commuoversi mentre ritira il premio alla carriera.

Le sorprese più grandi della serata sono comunque due: il trionfo di Sam Mendes con 1917, legato – direttamente o meno – alla disfatta Netflix, e la caduta Disney nella categoria Miglior film d’animazione. Grazie al suo war movie ambientato durante la Prima Guerra Mondiale (in Italia arriverà il 23 gennaio), Mendes si è aggiudicato la miglior regia e il miglior film drammatico, 17 anni dopo le glorie di American Beauty.

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1917, di Sam Mendes, Miglior film drammatico ai Golden Globes 2020

Tolti i tre titoli Netflix (Storia di un matrimonio, The Irishman, I due papi) per il ragionamento di cui sopra, restava il solo Joker. E anche da questo confronto si apre una parentesi: possibilissimo che 1917 sia più meritevole del film di Todd Phillips, ma è anche vero che le polemiche sulla natura anarchica che ne hanno accompagnato l’uscita in America possono aver giocato un ruolo fondamentale nel verdetto finale. In questo senso, non credo che la storia cambierà agli Oscar, mentre invece Joaquin Phoenix, premiato come miglior attore, si avvicina sempre di più alla statuetta più ambita.

Disney, dall’altro lato, si presentava con tre titoli come Toy Story 4, Frozen 2 e Il re leone, caduti di fronte a Missing Link, film in stop motion diretto da Chris Butler e prodotto dallo studio Laika. Un piccolo Davide che ha battuto tre giganteschi Golia.