
Tornare a vincere, la rinascita di Ben Affleck
17/04/2020Tornare a vincere (The Way Back) sarebbe il classico film confezionato nel pacchettino che agli americani piace tanto. E’ una storia di rivincita, con un protagonista sconfitto dai propri errori, dai propri rimpianti e dalle batoste che gli ha riservato la vita. L’occasione di provare a raddrizzarsi arriva con l’offerta di allenare la squadra di basket del suo ex liceo, la stessa di cui lui era la stella. I ragazzi non sono esattamente i Chicago Bulls di Michael Jordan ma il duro lavoro, il rapporto giocatori-allenatore che si cementa e le prime vittorie faranno da trampolino verso la rivalsa. Sportiva e personale.
Un quadretto già visto mille volte, giusto? Sì, ma qui c’è un particolare che offre una nuova chiave di lettura: Ben Affleck. La storia di Tornare a vincere pare scritta apposta per lui. Non tanto perché nessun altro avrebbe potuto interpretare il suo ruolo, quanto per come riesce a farsi metafora di tutti i problemi avuti negli ultimi anni. L’alcolismo, il divorzio dalla moglie Jennifer Garner, il lungo processo di disintossicazione…
Gli stessi demoni contro cui lotta il suo personaggio, Jack Cunningham, che finisce per diventare lo specchio dell’attore nel suo periodo più oscuro. Per questa ragione, le scene in cui lo vediamo al bancone del bar, in macchina, persino nella doccia, sempre attaccato alla bottiglia di gin o alle lattine di birra, creano una sintonia emotiva diversa dal solito. Non sarà bellissimo da dire, ma l’esserci passato ha per forza di cose aiutato Affleck a caratterizzare Jack con l’umanità necessaria per reggere sulle sue spalle l’intero film, diventandone il valore aggiunto.

Il regista è Gavin O’Connor, che con Warrior – bellissimo – aveva già dimostrato di saper raccontare difficili storie di vita e di complicati legami famigliari attraverso lo sport (lì erano le MMA, Mixed Martial Arts, e i protagonisti Joel Edgerton e Tom Hardy, fratelli contro). Qui si affida ad Affleck, lo mette al centro di ogni scena – anche sul parquet -, gli riserva primi piani che non nascondono niente delle conseguenze che l’alcol ha avuto su di lui.
Fa effetto vederlo imbolsito in quel modo. Una trasformazione fisica che non è figlia di un Batman v Superman, ma di una battaglia drammatica, del tutto umana. Spesso si dice che un attore dovrebbe essere tutt’uno con il personaggio, sentirselo addosso, come una seconda pelle. Il famoso metodo. Più volte, guardando il film, mi sono chiesto quanto possa essere stato difficile per Affleck rivivere certe situazioni senza via d’uscita, risentire il richiamo di un bar e di tutta quella solitudine. Riscoprirsi dolorosamente fragili dopo l’illusione di un periodo positivo, sbriciolatosi al primo momento difficile.
Mi piace pensare che abbia scelto questo ruolo come ennesima tappa terapeutica del suo percorso di riabilitazione. Un’occasione catartica, mi dico, e per questo credo che la performance in Tornare a vincere sia la più sincera della sua carriera. Non di quelle che valgono un Oscar, ma che raggiungono un livello di intimità tale da valere una carrellata di blockbuster milionari. E dare a un film modesto un motivo per essere visto.
