
10 anni di Inception. E quella trottola ancora gira…
18/07/2020“The Dream is Real”, recita il payoff del poster originale di Inception. Dentro quel sogno vaghiamo ancora oggi, 10 anni dopo l’uscita (americana) del film, chiedendoci una sola e per nulla semplice domanda: quella trottola cadrà?
Christopher Nolan è sempre stato un abile architetto di storie profonde e complicate, stratificate ed enigmatiche. Inception, che unisce fantascienza e spionaggio, noir e dramma, Freud e Fleming, è forse il film che meglio incarna il suo concetto di cinema cervellotico di cui aveva fatto le prove con Memento, esordio a dir poco invidiabile per qualsiasi regista.
Inception: la storia in poche righe
Nel 2010 gli hacker informatici sono ormai diventata roba vecchia per Nolan, che guarda a un futuro in cui i dati vengono rubati direttamente dalla mente umana. La storia di Inception racconta infatti di Dom Cobb (Leonardo DiCaprio), una spia specializzata in “estrazioni”, vale a dire incursioni all’interno del subconscio altrui per carpirne i segreti più profondi che interessano a chi li paga bene.
Il nuovo incarico, però, è una sfida inedita e all’apparenza impossibile: anziché rubare il contenuto della mente di un altro, Cobb deve realizzare un innesto, ossia inserire un’idea nella mente del bersaglio affinché la consideri come propria.
Quindi, forma una squadra come nel più classico degli heist movie – i film a tema rapina, solo che in questo caso i principi della rapina corrono al contrario – e riunisce i seguenti ruoli: l’estrattore, il manovratore, l’architetto, il falsario, il chimico e il turista. Una volta entrati nella mente della vittima, comincia un trip fatto di ricordi, pare mentali, drammi emotivi, assenza di gravità, calci per risvegliarsi (come quando si ha la sensazione di cadere mentre si dorme) e un inesorabile limbo di fantasmi e incertezza.
Chiaro no?
L’eredità di Inception
Il mistero ha circondato il film sin dai primi step, come da tradizione nolaniana che per evitare la diffusione di spoiler tratta le sue produzioni come documenti classificati che manco gli X-files. Un atteggiamento conseguenza di un “trauma” patito da giovane quando, stagista in una casa di distribuzione cinematografica, trovò la sceneggiatura di Pulp Fiction prima che il film di Tarantino uscisse in sala. Da lì, la promessa con se stesso “a me non succederà mai” e i relativi set blindati.
La grandezza di Inception sta comunque nell’essere riuscito a conservare, nel tempo, tutto il suo fascino misterioso, diluito in una struttura su più livelli, ognuno incastrato nell’altro. Un viaggio labirintico nella stessa materia di cui sono fatti i sogni che disegna un universo in cui la linearità si piega letteralmente su se stessa per mutare e diventare altro. Una trasformazione dello spazio estrema e paradossale, che mi ha sempre ricordato l’estetica di un’artista come Escher a dimostrazione di quanti spunti si possano trovare in un’architettura narrativa simile.

Una decade dopo, la visione rinnova interrogativi: cos’abbiamo visto davvero? Dove finiva la realtà e iniziava il sogno? Siamo ancora nel limbo o ne siamo usciti?
E poi, ovviamente, il gran finale aperto. Un epilogo che Nolan aveva pensato esattamente così e che, col senno di poi, si è rivelato determinante per mantenere viva un’eredità ora destinata a essere raccolta da Tenet, la nuova fatica del regista che in Italia sembra uscirà il 26 agosto – e il sembra è d’obbligo date le tante incognite della situazione cinema al tempo del Coronavirus -.

La possibile continuità tra i due film crea già ora fitte teorie che si allacciano con le ipotesi già formulate dal lungo post-Inception e diciamolo, parte del divertimento sta anche nel descrivere gli scenari più contorti.
Ma cosa ci ha lasciato Inception? Tecnicamente non ha la forza spartiacque di altri suoi illustri predecessori, vedi Matrix o Avatar. Per comprenderne il lascito meglio concentrarsi su un altro punto di vista. Perché in fondo poco importa se la trottola di DiCaprio cada o continui a girare. Nolan è riuscito nell’impresa alla base del suo stesso film: ci ha ipnotizzato e ha innestato un’idea nella nostra testa. Un’idea che è cresciuta negli anni, prendendo mille direzioni diverse, a loro volta ramificate in altri percorsi che conducono tutti a un’unica, immensa matrioska. Ha fornito, insomma, al proprio pubblico gli strumenti per essere parte di un processo creativo potenzialmente senza fine.
Come un limbo, appunto, che si alimenta di immaginazione e curiosità. E permette al film di sopravvivere al tempo.
