
La regina degli scacchi: tutto in uno sguardo
28/10/2020Non capisco nulla di scacchi. È uno di quei giochi che mi fa sentire sconfitto in partenza, nel senso che mi scoraggia persino immaginare di provarci. Eppure su Netflix c’è questa nuova miniserie, La regina degli scacchi (The Queen’s Gambit), che è riuscita ad appassionarmi in qualche modo alle sfide strategiche davanti a una scacchiera.
D’accordo, sono sincero: a tenere alta la mia attenzione è Anya Taylor-Joy, la protagonista. La seguo con occhi speciali dai tempi di The Witch (proseguendo con Split, Emma, Marrowbone… Lascio perdere New Mutants ma perché è l’intero film a essere un insulto agli X-Men) e fra le giovani attrici della New Generation di Hollywood, oltre a una tecnica da applausi, si distingue anzitutto per una cosa: lo sguardo.
Qui gioca un ruolo chiave: tanti infatti sono i primi piani sul viso e sugli occhi di Anya. Occhi grandi da cerbiatto se ne ho mai visti, ma che nascondo un mondo di emozioni dentro. In genere la camera si fissa su di lei durante i momenti decisivi dei vari match quando, per esempio, guarda dritto l’avversario come per leggergli l’anima. Altre volte, invece, esulano dal disegno del gioco e ti trascinano nei tormenti del suo personaggio, Beth Harmon.
Beth è un’orfana: sua madre, afflitta da disturbi psichici, si suicida quando la bimba ha solo 9 anni. Cresce in un istituto e lì, nel seminterrato, scopre la passione e un talento naturale per gli scacchi. Gioca con il custode, che diventa il suo primo mentore e punto di riferimento. Il problema è che sin da quell’età Beth raggiunge livelli di concentrazione insoliti grazie ai tranquillanti che le somministra il medico dell’orfanotrofio. Pillole bianche e verdi da cui diventerà dipendente.
E la dipendenza è un tema cruciale della serie. Beth ne ha tre: psicofarmaci, gioco, alcol. Sia mai, infatti, che una mente diversa dalle altre non viaggi a braccetto con la sregolatezza. Più la sua carriera da giovane prodigio diventa importante, a passi rapidissimi, più aumentano le ansie, le pressioni, i cedimenti.
In tutto questo c’è la vita da adolescente da affrontare, con le sue scoperte, i primi amori. Quindi, ricapitolando, abbiamo: il trauma di aver perso la madre biologica tragicamente; uno sport molto radicato in un ambiente maschile che la spinge sempre al limite; una madre adottiva con cui Beth instaura un buon rapporto di complicità e fiducia ma da cui assorbe anche l’amore tossico per la bottiglia. Roba non semplice da affrontare nei primi vent’anni di vita.
La serie non ha nulla di innovativo in termini registici o narrativi: seguiamo il percorso di Beth in modo lineare, ben sapendo che alle prime, folgoranti vittorie presto seguirà anche la prima, pesante sconfitta. Ma la storia si regge proprio sulla forza della sua protagonista, che si costruisce strada facendo con tutta la sua instabilità. Anya è brava a non strafare, mantenendo il giusto equilibrio tra gli alti e bassi del suo personaggio, figura molto interessante perché sfaccettata e complessa e capace di conservare un fascino anche simbolico nella sua progressiva emancipazione.
Una serie sugli scacchi, inoltre, non può evitare momenti descrittivi sulle regole del gioco. I cosiddetti tecnicismi. Ecco, la cosa positiva è che non annoiano, non disorientano né rendono la narrazione complicata, bensì aumentano il coinvolgimento, danno ritmo alla scrittura – già di per sé intelligente – e definiscono il senso di appartenenza di ciascun personaggio a un ambiente che resta comunque di nicchia. Danno identità, insomma, senza perdersi nello spiegone fine a se stesso.
Ma il punto, alla fine, resta sempre uno: quello sguardo cattura per non lasciarti più. George Miller ha scelto Anya per interpretare Furiosa nel prequel spin-off di Mad Max: Fury Road dedicato all’eroina di Charlize Theron, altro simbolo della forza femminile contro il maschio dominante. Non è una follia. Primo perché Miller ha dimostrato di sbagliare poco o MAI. Secondo perché parliamo di un’attrice di talento, già dimostrato più volte e con due occhi che parlano da soli. Pronta alla consacrazione definitiva.