
Donnie Darko, 20 anni dopo c’è ancora tanto da contemplare
20/01/2021Di cosa diamine parla Donnie Darko? È questa la domanda che rimbalza in testa pressoché a chiunque abbia visto almeno una volta il film di Richard Kelly, uscito nel 2001 e quindi oggi giovane 20enne.
Me lo ricorda Jake Gyllenhaal, che su Instagram celebra l’anniversario del film che ha lanciato la sua carriera. Ma com’è, oggi, che siamo nel 2021, guadare Donnie Darko? Beh, la risposta è semplice: come la prima volta.
Quindi ancora non si capisce niente? Non la metterei così, l’alone di mistero è il fuoco che ne ha alimentato la leggenda da cult movie. È bene tenere presente che ci muoviamo all’interno di quella categoria di film criptici che attraverso manipolazioni di realtà e narrazione vogliono comunque farci arrivare un messaggio.
E Donnie non si presenta certo come qualcosa di ordinario. Insomma, diciamolo: già l’idea che il motore di un aereo possa precipitare sopra la camera di un ragazzo che soffre di schizofrenia paranoide e ha un coniglio nero gigante e assai creepy chiamato Frank come amico immaginario, è abbastanza folle di suo per capire che la storia qui non ha alcuna intenzione di tenere i piedi ben saldi a terra. Piuttosto, è un salto in un limbo di sogni, visioni, premonizioni, distorsioni temporali e vermoni liquidi che escono dal petto della gente (oh yeah).

Che poi, “distorsioni temporali”: non è certo un film con manipolazioni in stile Tenet, giusto alla fine si arriva a riavvolgere il nastro per intuire (forse) il senso di tutto. E il bello è proprio che la storia, in mezzo ad allucinazioni e warmhole, si srotola davanti ai nostri occhi in modo tutto sommato lineare.
Per cui cosa voleva raccontarci, davvero, Richard Kelly? Beh, attraverso tutto quel delirio onirico che è la vita – e la mente – di Donnie, uno spaccato del disagio giovanile, quell’inquietudine interiore che emerge con la perdita dell’innocenza infantile.
Il senso di speranza e le milioni di possibilità tipiche di quando si è piccoli si trasformano in un’incertezza confusa e disperata, tremendamente bisognosa di sapere che andrà tutto bene. Ma oltre a essere un film su sentimenti veri, dolorosi e terribili, Donnie Darko è un film sull’incomunicabilità fra giovani e adulti. Due mondi separati che non riescono proprio a trovare un punto d’incontro. D’altra parte non c’è figura adulta che ne esca bene: genitori, insegnanti, pseudo-guru motivazionali, per non parlare della classica bigotta della middle-class americana. Ognuno nasconde una maschera destinata alla fine a cadere, per svelare il vero (mostruoso) sé.
Tutto questo, a voler vincere facile, si sarebbe potuto raccontare con il solito, scialbo high school movie stracolmo di stereotipi, e invece la natura indipendente del film (non per niente presentato al Sundance 2001) gli ha permesso di evitare il commerciale per abbracciare una strada surreale e brillante, che tocca l’apice con il monologo sulla vera ragione di esistere di puffetta e dei puffi tutti.
In più, cosa non meno importante, è un film invecchiato bene, con un fascino sinistro innegabile e un senso dell’ineluttabile quasi biblico via via sempre più incalzante e oscuro.
Insomma, se non l’avete mai visto, il consiglio è di fare un salto su Amazon Prime Video, senza paura di sentirvi “inadeguati” o troppo confusi. Donnie Darko è un film realizzato con l’obiettivo di essere strano, non di essere per forza compreso al 100%.
P.S. Per dovere di cronaca, hanno fatto pure il sequel, S. Darko, con protagonista la sorellina più piccola di Donnie, Samantha, interpretata da Daveigh Chase, stessa attrice del Capitolo 1 nonché bimba di The Ring, solo cresciuta e pure caruccia. Com’è il film? È del 2009, diciamo che nel 2029 non saremo qui a festeggiarne i 20 anni.