
Wonder Woman 1984, tra televendita e soap opera
10/02/2021C’era una volta Wonder Woman. Una supereroina protagonista di un film onesto, coerente con se stesso dall’inizio alla fine, che raccontava in modo semplice e ordinato di una ragazza fuori dal comune che si trovava a combattere i tedeschi durante la prima guerra mondiale, a caccia di Ares. Un’anima pura in senso assoluto, quella di Diana Prince, la cui tenera ingenuità nell’approcciarsi al mondo fuori dalla dorata Themyscira costituiva il primo elemento di empatia con il pubblico. Il fascino illegale di Gal Gadot, poi, faceva il resto. Ora, invece, il sequel Wonder Woman 1984, che sbarca sulle piattaforme digitali in Italia dopo l’uscita ibrida fra cinema ed HBO Max negli Stati Uniti, riesce nell’impresa di spazzare via quanto di buono fatto sinora.
Non solo nel film d’esordio, per altro, ma anche in Batman v Superman e Justice League: non certo capolavori, ma parentesi in cui Diana dominava la scena a mani basse. Adesso che ci troviamo nei favolosi, coloratissmi e sempre di moda anni ’80 la situazione è talmente paradossale che è difficile capire come sia stato possibile realizzare qualcosa di così scontato e retorico.
La storia è assurda. Non che immaginare Wonder Woman durante il ’15-’18 non lo fosse, ma c’è differenza nel pensare e realizzare un film incredibile ma credibile, e un film che proprio non funziona. Tutto ruota intorno a un’antica pietra capace di esaudire i desideri, al prezzo di consumarti l’anima (maddai?). La nostra Diana ne approfitta per lasciarsi sfuggire il pensiero di ritrovare il suo unico e grande amore, Steve Trevor… et voilà, eccolo tornare dal regno dei morti per reincarnarsi in un poveraccio che un giorno semplicemente si sveglia e viene calamitato da Gal Gadot (dove devo firmare)?
I due non perdono tempo e giocano a fare i piccioncini ma dall’altra parte c’è chi desidera per i motivi sbagliati. Per rivalsa personale, vendetta. E quindi ecco la coppia di cattivi: Kristen Wiig, ossia Barbara Minerva, la sfigata di turno che sogna di essere finalmente una donna alpha, e Pedro Pascal, conciato come Maxwell Lord, la più grande star di televendite della storia che mira al potere assoluto per rendere fiero suo figlio, un bimbo dai tratti asiatici sbucato dal nulla (i suoi a quanto pare sono divorziati…).
La missione è dunque chiara: impedire al mondo di corrompersi l’anima e autodistruggersi irradiandolo di sentimenti nobili quali l’altruismo, il rispetto, la generosità. Per riempire i cuori di tutti gli Acchiappafantasmi in Ghostbusters 2 giravano per le strade di New York in cima alla statua della libertà, qui rendiamo grazie alla santissima luminosità interiore di Wonder Woman, che manco Madre Teresa o la Madonna. Preferivo Bill Murray e soci.
Ora, un sequel, per le leggi della serialità cinematografica, dovrebbe esagerare in tutto, pomparsi fino ai confini della tamarraggine e se parli di supereroi (o di Fast & Furious) ne hai di che sbizzarrirti. Certo, se avesse anche un minimo di plausibilità e solidità nella trama non sarebbe male, però ci si può adattare. Il problema è che qui c’è quasi un’ostinazione irritante verso il pathos, il dramma emotivo, come a dire “hey, noi raccontiamo una storia con una morale importante, riflessione su avidità e consumismo, specchio di ieri e di oggi!”. Ragazzi, non serve, è un cinecomic, è Wonder Woman, l’introspezione di Nolan è lontano, perché volersi per forza prendere così sul serio? O almeno, darne l’impressione? Siate lineari, semplici, come il primo film. No, si cerca e male di strafare nei posti sbagliati.
Inoltre, se aggiungiamo il fatto che persino l’azione è più fiacca e Gal Gadot e Chris Pine hanno il coinvolgimento di una soap opera tipo Sentieri, non c’è da sorprendersi che a un certo punto sanguinino occhi e orecchie. Ci hanno anche provato a fare il giochino delle parti inverse: se nel primo capitolo una candida Diana conosceva per la prima volta il mondo vero con apprezzabile ironia, qui è Steve, uomo della Grande Guerra, a fare i conti con i progressi e la moda anni ’80. Peccato che la cosa sia così patinata e scontata (anche nelle citazioni, le solite) da perdere la spontaneità vincente della prima volta.
Lato villain non si facevano faville già con Ares ma ora si riesce nell’impresa di fare peggio, provando invano a esplorare le fragilità dei personaggi per aumentarne lo spessore. Pedro Pascal, nei sui deliri da genio della lampada maledetto, diventa presto un’auto-parodia, però alla fine vince solo Kristen Wiig travestita da leopardo che si lancia in un fight vs WW versione “cavaliere d’oro”, un combattimento in cui la CGI è talmente posticcia che Sharknado in confronto è Jurassic Park. Trash ai massimi livelli e io, che nonostante tutto non scanso il trash, alzo bandiera bianca.
Non so cosa sia successo esattamente, se i continui rinvii per covid abbiano fatto impazzire tutti e ci siano state delle riprese aggiuntive top secret, un montaggio alternativo di nascosto, o la festa delle feste prima dell’inizio dei lavori il cui conseguente hangover ha tormentato cast e troupe per mesi. Fatto sta che l’universo DCEU sembra tornato sulla strada sconclusionata che tante critiche aveva attirato sul suo primo ciclo di vita. Wonder Woman era riuscita, con merito, a essere l’eccezione su cui puntare e da prendere come esempio. Purtroppo è stata tirata in mezzo anche lei. Si prega di invertire la rotta per il terzo capitolo.
