
I Care a Lot, ovvero Rosamund Pike: la più brava a essere una stronza
05/03/2021Non è facile rendere interessante un film che come protagonista ha un personaggio il cui livello di empatia è pari a zero. Se però la tua protagonista è un’attrice come Rosamund Pike allora qualche possibilità di portare il pubblico sino ai titoli di coda ci sono. Il regista J Blakeson lo sa e le cuce addosso il ruolo di Marla Grayson in I Care a Lot, performance che le è valsa un bel Golden Globe alla cerimonia 2021.
La categoria era Miglior attrice in un film Musical o Commedia: potete partire da qui per inquadrare I Care a Lot, se non ne avete mai sentito parlare. Disponibile su Amazon Prime Video è una dark comedy il cui black humor è costruito su una protagonista determinata, brillante, sicura di sé… E stronza. Ma proprio STRONZA. Spregevole. Amorale. Una leonessa, si definisce lei, pronta a sbranarti senza lasciare neppure un ossicino.
Le prede? I più deboli, ovviamente. Anziani, di cui si fa nominare tutore legale per prelevarli dalle loro case, rinchiuderli in casa di riposo e amministrarne i beni. Soldi, immobili, cassette di scurezza, tutto. E se i figli tentano di mettersi in mezzo? Manco a dirlo, Marla trova il modo di cancellarli per sempre dalla vita dei loro genitori.
Non ci mettiamo molto a conoscerla, perché è lei che si presenta con una voce fuori campo all’inizio del film. Sono i dettagli del suo aspetto a definirla: abbigliamento elegante e curatissimo, ma soprattutto un caschetto tanto preciso quanto inquietante, con quei capelli biondi che cadono poco sotto il mento affilati come lame. È lesbica e forte di una femminilità che scarica addosso agli uomini come un mitra.
Il suo impero, riassunto in un muro pieno di fotografie di poveri nonni da guardare e cestinare senza un briciolo di rimorso, ovviamente non sarebbe possibile senza un sistema già corrotto alla base e fin troppo facile da manipolare. La truffa con cui Marla si arricchisce è infatti creata sui meccanismi della legalità, sotto cui striscia come un serpente.
Il suo modus operandi ci investe nel momento in cui sembra aver trovato la gallina dalle uova d’oro, ossia una tranquilla signora che abita da sola in un bel quartiere, senza legami di parentela. La poverina in 5 minuti si ritrova una sconosciuta alla sua porta che la informa di essere il suo tutore nominato dal tribunale e, senza fare storie, le intima di fare i bagagli e abbandonare per sempre casa propria. Dopodiché, dritti in casa di riposo, tutta sorrisi e palloncini per la promessa di una vita “da regina” quando invece il contesto è quello di una mosca impigliata nella tela di un ragno.
Marla controlla tutto, forte anche della complicità del direttore della struttura (che ovviamente ci guadagna in dollaroni): dal cellulare della sua “cliente” alle dosi di farmaci. La nonnina fa resistenza? Via cibo e giretti all’esterno, diamoci dentro con i tranquillanti. Sono brutte scene, purtroppo molto attuali se si considerano le tante denunce per maltrattamenti subiti dagli anziani nelle RSA.
Ed è questo che il film cerca per prima cosa di denunciare, un sistema che invece di proteggere chi ha veramente bisogno, ci cammina sopra senza ritegno. Il guizzo, però, il cosiddetto “what if?”, risponde a una domanda che spezza l’equilibrio a orologeria: cosa succede se peschi dal mazzo la carta sbagliata che ti scatena contro un boss del crimine con il volto di Peter Dinklage?

Qui si crea il contrasto: da una parte la ferma aggressività della Pike, dall’altra la calma di Dinklage, solo apparente però, perché più vicino a una pentola a pressione pronta a esplodere. Due cattivi contro l’altro dunque e il duello regge l’azione, con Marla che da cacciatrice sembra diventare preda. Ma il ribaltamento di ruoli è solo l’esca con cui il film cerca di tenerci attaccati all’amo. Perché parliamoci chiaro: si fa fatica a prendere le parti di Marla, a tifare per lei nonostante tutto e personalmente fin dall’inizio non aspettavo altro che qualcuno la mettesse al posto suo.
Il (mio) problema è che Marla se la cava sempre, sfoderando una tenacia che le permette di uscire da qualsiasi situazione di pericolo, manco fosse una supereroina. Qui il film esagera un po’, ma sembra farlo con la consapevolezza di chi vuole dirci che in questa storia, comunque la si voglia girare, non c’è spazio per i buoni o per qualche tipo di catarsi.
Alla fine I Care a Lot si rivela un’esperienza interessante, senza dubbio ambigua. Vive su un personaggio femminile che nella sua cattiveria, paradossalmente, incarna tutti i valori positivi della donna forte e indipendente dal maschio, della donna in carriera che ce l’ha fatta da sola, contro tutti gli stereotipi. Una variante, se così possiamo definirla, di un altro personaggio interpretato dalla Pike, Amy in L’Amore bugiardo: certo, il ruolo nel film di David Fincher aveva più sfaccettature su cui lavorare, Marla è invece un blocco granitico di cinismo e allo stesso tempo simbolo di opportunismo. La ricetta perfetta del successo. Del sogno americano, più dorato e oscuro.