
Aftersun, cosa nasconde un ricordo
09/03/2023“Quando ripensa a quegli anni lontani, è come se li guardasse attraverso un vetro impolverato: il passato è qualcosa che può vedere, ma non può toccare; e tutto ciò che vede è sfocato, indistinto“
– In the Mood for Love
Prendo in prestito il cartello finale di In the Mood for Love, capolavoro di Wong Kar-Wai, per cominciare a parlare di Aftersun. Come il premiato film coreano, anche l’esordio alla regia di Charlotte Wells è una riflessione sul passato e sulle relazioni. Nel primo caso si parla di relazioni di coppia. In questo, del rapporto padre-figlia, raccontato attraverso le riprese di una vecchia videocamera.
Il filtro è quello dei filmini di famiglia, quella grana sporca e rovinata del VHS che riprende momenti di felicità di una vacanza in Turchia, in un modesto villaggio all inclusive. C’è qualcos’altro, però, dietro la spensieratezza dell’estate. Qualcosa che cresce nell’ombra del dolore.
Nulla ci viene mostrato esplicitamente, perché è tutto riservato ai dettagli di un’inquadratura, di un movimento di camera, di una conversazione. Wells e il direttore della fotografia, Gregory Oke, lavorano sulle composizioni asimmetriche tipiche dei video amatoriali, che solo in apparenza non ci danno punti di riferimento. Invece ci addentriamo nel legame fra Sophie e Calum poco a poco, sempre di più: lei, undicenne spensierata che vive la sua età con l’entusiasmo di chi già non vede l’ora di crescere e si perde a osservare i primi amori dei ragazzi più grandi. Lui, un padre giovane, di 30 anni, che non sta più insieme alla madre e vorrebbe dare alla figlia tutto l’amore del mondo.
Ma Calum nasconde zone oscure dalle quali non riesce a fuggire, neppure in presenza di Sophie. Le domande curiose della bambina a volte colpiscono nervi scoperti. E in lui risalgono rimpianti, frustrazione, lacrime. Non sappiamo le ragioni precise dietro un simile disagio interiore, possiamo solo intuirle da dialoghi, primi piani o attimi in solitaria impressi su nastro. Eppure siamo testimoni di un dolore che cresce e che via via ci avvolge in un’atmosfera sempre più ovattata, come se ci spingesse sott’acqua.
A questo punto le sequenze della vacanza stile found-footage si alternano a brevi escursioni nel presente, con Sophie adulta che recupera quei ricordi. Anche qui, non ne conosciamo il motivo, lavoriamo per inferenza. E capiamo che il suo non è solo un viaggio nella nostalgia, ma soprattutto la ricerca di una spiegazione su qualcosa che si è spezzato. O che non c’è più. Perché la presenza del padre in vacanza, con lei bambina, via via si trasforma in assenza. Il vuoto che ne nasce di conseguenza, Sophie cerca di riempirlo con quella visione. E noi facciamo altrettanto: riempiamo i vuoti di una narrazione volutamente ellittica, che si muove nella dimensione di un ricordo sempre più onirico.
Il potere della memoria ha un’azione duplice e in antitesi: si contorna di dolcezza quando Calum e Sophie dimostrano una complicità tenerissima, si trasforma in amarezza nei momenti di tensione, distacco o maggior sofferenza. I due protagonisti sono splendidi: Frankie Corio interpreta Sophie con la naturalezza di chi si scopre giovanissima rivelazione; Paul Mescal – già apprezzatissimo nella serie Normal People e futuro Gladiatore nel sequel di Ridley Scott – comunica una valanga di emozioni con un solo gesto, una parola o uno sguardo. Un talento minimal comune a pochi e giustamente premiato con una nomination agli Oscar.
La forza emotiva di Aftersun è dunque nella negazione del visibile. Per questo il percorso del film si rivela profondamente interiore: è lì che ci porta la storia, nelle tracce sfocate dell’inconscio che spesso si limita a suggerire invece di illuminare. Anche il titolo assume un significato evocativo: “aftersun”, doposole, suggerisce il potere lenitivo della crema sulle scottature. Quindi, nel contesto del film, allude al tentativo (di Calum prima, di Sophie poi) di curare il male che brucia. O quantomeno di raffreddarlo.
Sensibilità di stile e scrittura è alla base di un’opera prima invidiabile, intima, trascinata da una colonna sonora che trova il suo punto più alto in Under Pressure. Non perché ribadisca quanto sia bello il brano dei Queen e David Bowie, ma per l’uso che ne fa, scegliendolo come collante di un montaggio alternato fra passato e presente che riassume il rapporto fra Sophie e suo padre. E’ il climax emozionale del film, amplificato anche dai toni distorti che la canzone assume, ennesimo espediente di contrasto tra (un’idea di) felicità e il dolore di una separazione.
Presentato al Festival di Cannes 2022, Aftersun non ha trovato una distribuzione italiana su grande schermo, ma è disponibile su MUBI, canale di Amazon Prime Video. Il consiglio è di recuperarlo, ma attenzione. E’ uno di quei film che ti entrano sottopelle e ti tagliano con così tanta delicatezza da non accorgersi della ferita prima che sanguini.