Barbie, oltre al rosa c’è di più

Barbie, oltre al rosa c’è di più

08/08/2023 0 Di AndreMovie

Un film su Barbie? Rischioso. Questo ho pensato quando hanno cominciato a circolare le voci sul progetto dedicato alla bambola più famosa di sempre. Si sarebbe potuto imboccare il sentiero della banalità più totale, con un film scontato in tutto, dall’estetica alla narrazione. E allora avremmo ricominciato a parlare di quanto Hollywood ormai sia a corto di idee vere, originali e con un senso, di quanto sia tutto business, e via dicendo. E invece…

Invece bisogna avere quel briciolo di oggettività necessario per fare i complimenti a chi questi rischi è stato in grado di aggirarli con intelligenza e furbizia, che spesso viaggiano a braccetto. Perché Barbie non è solo un film tinto di rosa che grida “life in plastic is fantastic“, per fare un’eco agli Aqua. Dal punto vista cinematografico è un film girato, coreografato e montato in modo ineccepibile, con un cast perfetto.
A livello di marketing vanta uno storytelling promozionale che è già una case history da studiare, costruita sui 150 milioni di dollari di budget messi a disposizione da Warner (in aggiunta ai 145 milioni, si stima, per la produzione). Parliamo quindi di un’intera operazione commerciale che non ha sbagliato un colpo e ora ha superato il miliardo di dollari al box office mondiale.

D’accordo, Barbie vanta una forza di richiamo (e di business) gigantesca. Eppure Mattel non era in una posizione facilissima: negli anni, il brand ha attirato su di sé una montagna di critiche, per via di quel modello femminile poco credibile: donna, 1.75, capelli biondi, occhi azzurri. Perfetta. Serviva il tassello che invertisse un po’ la tendenza, per raggiungere l’inclusività che mancava. E sono arrivate Greta Gerwig, regista e autrice, e Margot Robbie, produttrice e attrice protagonista.

Barbieland, tutto il rosa della vita

Greta Gerwig aveva un doppio compito: dirigere il film e scriverlo, insieme al marito Noah Baumbach. Una donna al timone di un progetto su Barbie: ruolo non lontano da insidie. Fortuna sua (e nostra) il talento non le manca, così come l’intelligenza di capire quanto la semplicità sia una qualità che a Hollywood è troppo spesso dimenticata. Così, compone i tre atti della sceneggiatura con fedeltà aristotelica e, dopo un incipit che cita 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, ci catapulta in Barbieland, un universo rosa di finzione e perfezione in cui ogni giorno è radioso e si ripete in loop, come se fossimo nella versione dorata di Ricomincio da capo. La donna, o meglio, Barbie, regna in tutte le sue versioni: abbiamo la Barbie presidente, la Barbie premio Nobel, la Barbie dottore. Donne, potenti, vincenti e indipendenti. L’uomo? In spiaggia, territorio confine dei Ken, la cui giornata trova un senso solo se una Barbie li guarda.

Margot Robbie in “BARBIE”, come il monolite di “2001: Odissea nello spazio”. Copyright: © 2022 Warner Bros. Entertainment Inc. All Rights Reserved.
Photo Credit: Courtesy Warner Bros. Pictures

Tutto è riprodotto con grande cura al particolare (gli abiti sono fedeli a quelli dei giocattoli originali) e viviamo una giornata tipo a partire dal risveglio mattutino della protagonista, la “Barbie stereotipo” di Margot Robbie.

Il personaggio è il primo giochino intelligente della produzione, perché se c’è un’attrice a Hollywood che sembra lo stampino della bambolina bionda è proprio lei. Ma a Barbieland gli stereotipi esistono per essere ribaltati e così, come la Robbie nella sua carriera (o almeno da The Wolf of Wall Street) ha evitato ruoli-etichetta da ragazza della porta accanto, altrettanto la sua Barbie stereotipo perfetta sotto ogni aspetto si scopre difettosa. Piedi piatti e cellulite sono il trauma fisico che innesca il viaggio della nostra eroina nel mondo reale (più o meno) di Los Angeles, necessario per rintracciare la bambina che gioca con lei, ridarle felicità e rimettere le cose a posto.

Non è però un viaggio in solitaria, perché c’è Ken ad accompagnarla. Ed è con lui che il film regala il meglio: Ken è l’elemento “sorpresa”, perché, guarda un po’, si scopre il vero antagonista. Certo, antagonista maschio e quindi sì, ditelo pure: la direzione è quella di una denuncia contro l’uomo dispotico e una società dispari e ancora troppo patriarcale. Vero, ma superficiale.

Ken e il patriarcato

Il Ken di Ryan Gosling (e di tutti gli altri) svela quanto Barbie forse parli più agli uomini che alle donne. Un bambolotto gonfiato di luoghi comuni che non brilla per quoziente intellettivo e piomba in crisi d’identità perché fuori dall’ombra della sua donna alpha non è nessuno. Il suo ingresso nel mondo reale è un elettroshock che lo sveglia e lo convince a tornare in patria per una sorta di colpo di stato, non prima di essersi fiondato in biblioteca per un’immersione nei libri a tema patriarcato (e che alla fine il patriarcato lo condannano: dettaglio che il nostro amico non coglie). Dunque, se da una parte l’ego e il testosterone crescono al pari dell'(auto)ironia, dall’altra le sicurezze di Barbie si sgretolano. E la donna diventa da indipendente a subordinata al suo uomo.

Un meccanismo non semplice da trattare senza affogare nella retorica, ma Barbie è un film che funziona e, come già detto, evita queste trappole. Ci riesce persino quando Margot Robbie dice in lacrime di non essere abbastanza carina: prima che la credibilità crolli del tutto, è il film stesso a intervenire con la voce narrante (Helen Mirren in originale) per dire qualcosa tipo “sì, lo sappiamo che detto da lei non è convincente“. Una delle furbate che tengono insieme una storia a tratti un po’ sparpagliata ed episodica che culmina nel golpe dei Ken, bambolotti in rivoluzione che trasformano Barbieland in un festival di cowboy e mansplaining, con tanto di spiegazione de Il padrino.

Quello che scricchiola un pochino in termini di scrittura è la prima parte: corre tutto veloce e in un attimo Barbie passa dal ballare sulle note di Dua Lipa ad avere pensieri di morte. La scena dopo, è già in rollerblade a Los Angeles. Non c’era bisogno di chissà quale introspezione iniziale, però, con un ritmo simile, la sensazione era che il film rischiasse di esaurirsi dopo mezz’ora. Il ritorno in patria di Ken riassesta i tempi di racconto, più equilibrati e meglio distribuiti fra i personaggi.

Ma Barbie non si dimentica per strada, anzi sa benissimo chi è. E, coerente con la propria identità, anche la virata verso il maschilismo che prende la seconda parte della storia è sempre e comunque tutta da ridere. Gosling e soci, in questo, fanno più della metà del lavoro, perché poche cose sono più divertenti di un macho che ha l’autoironia necessaria per giocare sulla sua immagine virile e dissacrarla in questo modo. E tanto di cappello al buon Ryan, perché ci vuole anche coraggio ad accettare un ruolo del genere, più complicato di quanto sembri, all’apice della carriera. Troppo vecchio per essere Ken, gli hanno detto. Risposta: “A chi è mai importato di Ken, prima d’ora?“.

Persino Mattel si prende in giro con la figura di Will Ferrell, genio comico che interpreta il Ceo della casa madre alla guida di una tavola rotonda di soli uomini. Un gruppo di bizzarri e neanche tanto capaci uomini d’affari che insegue (letteralmente) il suo prodotto di punta. La satira nella caratterizzazione è fin troppo blanda eppure arriva, travestendo di humor il lato più cinico del business, interessato più al denaro che ai valori.

Dojo-Mojo-Casa-House affittasi… Ryan Gosling in una scena di “BARBIE”. Copyright: © 2023 Warner Bros. Entertainment Inc. All Rights Reserved.
Photo Credit: Courtesy of Warner Bros. Pictures

Ora, allontanatevi dall’idea che Barbie possa (e voglia) proporsi come la guida definitiva sul confronto di gender. Barbie non vuole essere nulla di più quello che è: un prodotto divertente, di intrattenimento ultra-pop, con un messaggio chiaro in testa. Ovviamente, oltre a dominare il box office, sta scatenando il dibattito, in America come in Italia. C’è chi lo ha amato e chi odiato. Chi politicizzato e chi preso d’ispirazione per finire la propria relazione di coppia. Capita a tutto ciò che diventa un fenomeno e Barbie fenomeno lo era da ben prima di arrivare su grande schermo.

Unico consiglio: criticatelo, applauditelo, ma non trattatelo con sufficienza, perché non lo merita. Offre spunti vari e interessanti su temi che riguardano tutti, come l’indipendenza personale e l’accettazione di sé. E lo fa con l’intelligenza di un sorriso.